La Via dei Mille, la Villa Comunale, la Piazza Sei Martiri, l’Emaia e il Cimitero di contrada Cappellares.
La via dei Mille è una delle strade vittoriesi più ricche di storia. Il percorso verso Piazza Sei Martiri, inizia dalla via Gaeta con una bella scalinata. La «via pubblica per lo scaro degli Scoglitti» compare per la prima volta in un atto notarile del 16741. Detta anche «a strat’o palio»2 per la corsa di cavalli in uso durante la festa di San Giovanni, corre fra palazzi dalle belle facciate ottocentesche o in stile Liberty ed è la strada lungo la quale si snoda la mattina del Venerdì Santo la processione che porta Gesù Cristo al Calvario sul cataletto.
Il primo edificio notevole che si incontra è il palazzo Mazza Porcelli3 (oggi Cavallo) al n. 61, con decorazioni di Gioacchino Santocono. Seguono quindi i palazzi:
- Mazza-Jacono (all’angolo con la via Cavour, di cui si è già detto);
- Porcelli (tra via Principe Umberto e Cavour, costruito su un preesistente palazzo di proprietà Custureri);
- Camilleri (già Nostrosi e Lucchese, sede un tempo a piano terra della banca Carfì-Linares);
- Cucuzzella al n. 90, con decorazioni di Alessandro Abate;
- Rizza (condominio costruito su proprietà Scrofani-Pancari);
- Terranova (ang. via Carlo Alberto);
- Lucchesi oggi Baglieri (con decorazioni di Vito Melodia), di fronte al quale sorgeva il palazzo del barone Gaetano Leni (sindaco dal 1842 al 1846) ed oggi condominio;
- Il Giardino comunale di Palazzo Jacono.
Continuando si incontrano edifici tutti o quasi costruiti nella seconda metà dell’Ottocento, per come deduciamo dal catasto del 1851. Tra essi:
- palazzo di proprietà Santapà e Carfì Pavia (all’angolo con la via Palestro);
- palazzo Pancari4 (un intero isolato, ma oggi in abbandono e completamente devastato);
- palazzo Giordano-Calì (oggi Porcelli-Areddia, con decorazioni di Alessandro Abate);
- casa Re (all’angolo con via San Martino), con decorazioni pittoriche di Vito Melodia;
- palazzo Carfì (già Toro)5, di proprietà della Provincia (oggi sede di uffici comunali e della istituenda Enoteca Regionale). Nel giardino si erge una piccola piramide (con colonna centrale), probabile simbolo massonico dei proprietari (il palazzo risulta pervenuto a Giacomo Carfì, padre del sindaco Salvatore Carfì Jacono e da questi al figlio Ugo e poi a Salvatore, che lo vendette alla Provincia per ospitarvi la collezione Zarino, cosa mai realizzatasi);
- casa Giudice-Frasca ai nn. 145-147, del 1930.
A seguire, lo slargo intitolato a Nannino Terranova (fondatore del movimento socialista a Vittoria nel 1899), collegato a Piazza Indipendenza mediante la bella scalinata realizzata nel 1898 e fronteggiato dai palazzi Terranova-Scrofani (ex ospedaletto Foderà, per qualche tempo sede di plesso elementare) (già proprietà La China6) e De Pasquale (già Occhipinti7), con cortile interno e balconi sorretti da mascheroni mensoloni (Campo).
Seguono ancora le case:
- Pollara al n. 163 (costruttore Antonino Giudice, 1908);
- Burrafato (ang. Varese, con belle decorazioni in stile Liberty);
- Cassibba al n. 177 (costruttori Giovanni e Francesco Mazza, scultori Salvatore Battaglia, Emanuele Bucchieri e Francesco Mazza, 1925).
Quindi, la via prosegue con alla sinistra la Villa Comunale e sembrerebbe fermarsi davanti alla Fontana detta dei Leoni: invece sale leggermente sulla destra, per poi immettersi nella grande Piazza Sei Martiri della Libertà8, dove sorge il Calvario e poco oltre, lungo la via La China, davanti alla Villa, sorgono la chiesa e il convento dei Cappuccini. Dietro il convento, sul prolungamento nei pressi di via Giombattista Jacono9, sorgono il plesso “Lombardo Radice” (appartenente al II Circolo Didattico “Giuseppe Caruano”, il plesso “Foderà” (appartenente all’Istituto Comprensivo “San Biagio”), il Palazzetto dello Sport ed il Liceo Scientifico con annessa sezione classica, realizzato in parte dell’ex campo di Concentramento.
All’interno di questa grande area oggi sorgono l’Emaia, il Museo Italo-Ungherese, la nuova Caserma dei Vigili del Fuoco e vi si svolge il mercatino settimanale. L’ultima struttura monumentale, in contrada Cappellares, cui si arriva seguendo la strada provinciale per Santa Croce, è il Cimitero, in funzione dal 1895. Ma andiamo con ordine.
Box. L’area da San Francesco ai Cappuccini nel corso dei secoli. La sistemazione di quest’area urbana lungo il ciglio della valle, da San Francesco all’ex campo di Concentramento è frutto di tre secoli di “conquista” del territorio ed è dovuta alla nascita del convento dei Cappuccini, che organizzò tutto lo spazio intorno. Posta alla periferia sud del nuovo insediamento, l’area tra San Francesco (Cozzo del Calvario oggi Piazza Indipendenza) e l’attuale Calvario sin dall’inizio fece parte della fascia di terre Comuni, che avvolgevano il nuovo piccolo centro abitato a 180° sul ciglio della valle da sud a nord. Una contrada chiamata Croce (a confine con terre dette Mandra della Lenza, appartenenti al convento di San Francesco all’Immacolata di Comiso) è registrata già nel 1616 e dovrebbe essere la zona circostante il Cozzo del Calvario, posto in zona sopraelevata. Il nome è anche Cruci seu Scalonazzo nel 1638. Nel 1651 le terre Comuni vengono chiamate anche della Corte (il termine assorbe anche quello di Scalunazzo), ma la contrada Croce è sempre presente non solo nei riveli, ma anche negli atti notarili. Altra denominazione della Croce è Mendolilli o Mandra della Lenza, con cui confina il Bosco di Custureri, detto anche contrada di Custureri nel 1682. Tutte terre che sono attraversate dalla via che va allo scaro degli Scoglitti. Prima del 1714 Vittoria fu circondata da una cinta daziaria (riprodotta nella mappa del 1890 annessa all’opera di La China) e da allora le terre oltre la nuova chiesa ed il nuovo convento di San Francesco di Paola furono chiamate extra moenia o contrada di Custureri o fuori le mura. Con la costruzione della chiesa e del convento dei Cappuccini, nel 1748 risultano censite le seguenti contrade: Croce o Cozzo della Croce, Cappuccini o terre dietro ai Cappuccini o terre del lascito Garì o semplicemente Garì (ma anche vicino li mura o dietro li mura, a confine con il Bosco di Custureri), Mendolilli, Bosco di Capitina e Bosco di Custureri, detto a volte anche Bosco di Coffa (a confine con la Croce e le terre nominate di Garì)10. Abbiamo i nomi dei numerosi coloni che possedevano terre in enfiteusi alla Croce (tra essi Antonuzo Garofalo nel 1616, Simone Morgana nel 1653, Paola Mangano nel 1680 etc.), ma i maggiori possessori di terre nella zona erano i Custureri (discendenti di Paolo Custureri, primo secreto di Vittoria nel 1609), poi i Garì, don Giuseppe11 ed il figlio Cristoforo, di cui parleremo in seguito. Altro grosso proprietario nella zona era don Oratio (o Gratio) Mandarà12, dalle cui cave (oggi l’avvallamento tra via Giombattista Jacono e Garibaldi?) secondo quanto dice Paternò fu tratta la pietra per la costruzione della nuova chiesa di San Giovanni Battista (pag. 32)13. La zona inoltre era particolarmente bella perché offriva la possibilità di un belvedere, da cui si affacciò nel 1808 durante la sua visita a Vittoria l’abate Paolo Balsamo, che così scrive: «Più ricca, e più bella campagna di questa ovunque con difficoltà si riscontra; e noi vi andammo due volte per vagheggiarla dal più acconcio punto, qual’è quello dei Cappuccini, e ne pigliammo tanto diletto, che vi saremmo tornati la terza, e la quarta volta, se il tempo ce lo avesse permesso. Nel venire da Vittoria uno sperimenta la più dilicata illusione, avvengaché mirando verso la cava, non altro gli sembra di vedere, che una non interrotta pianura, terminata dalle colline di Comiso di varie figure, e grandezze e vestite diviziosamente di carubbi, di ulivi, e di altri alberi ora disposti in filari, ed ora collocati alla rinfusa, e nel più amabile disordine. E come si appressa poi al margine della medesima, un profondo, largo, e rovinosissimo vallone da una parte nobilmente lo raccapriccia, e dall’altra soavemente l’incanta la gentilezza, la multiplicità, il rigoglio delle piantagioni, e coltivazioni, le quali ora si spiegano in maestosi gruppi, ed ora insieme col letto del rivolo leggiadramente serpeggiano, e fanno mille ornate curve, e graziosi andirivieni, e de’ quali appena può delinearne alcuno di più esquisito gusto la felice, e brillante immaginazione del Chinese». |
NOTE
1] Ma probabilmente esisteva da prima del 1625, quando già alcuni patron di barche mazaresi e trapanesi cominciano a venire a Vittoria.
2] Il palio era collegato alla festa di San Giovanni, insieme con la fiera. Mentre però per la fiera abbiamo la data in cui fu concessa, cioè il 1640, nessun documento ad oggi è stato rinvenuto in cui si parli della corsa dei cavalli, né nel Seicento né nel Settecento. Ma la tradizione doveva essere assai radicata e sentita. Le notizie in nostro possesso sono tutte indirette e attestano la celebrazione del palio solo nell’Ottocento. In occasione del colera del 1837 infatti, il sindaco don Gioacchino Jacono ne vietò l’organizzazione, per evitare che i numerosi forestieri che venivano dai comuni vicini contagiassero i vittoriesi. Lo stesso La China parla del palio solo per dire che se ne era promossa l’abolizione, assieme ad altre tre antiche usanze. Così infatti si legge a pag. 452 dell’opera: «Nella festa di S. Giovan Battista, soleano esservi le così dette corse de’ bàrberi; ma avendo visto il pericolo, a cui si andava incontro, l’Amministrazione della Chiesa Madre fece opera saggia nel sopprimerle circa il 1878. Nel 1885 però una raunata di persone, dalla quale la Chiesa si mantenne estranea, volle rinnovare il pericoloso spettacolo, che non è stato più oltre ripetuto…». In verità, un “Corso del Palio” esisteva agli già agli inizi dell’Ottocento: era l’attuale via Cavour (vedi oltre).
3] Giovanni Mazza Porcelli, che ne era proprietario, fu sindaco dal 1890 al 1892.
4] Nel 1851 risultano intestati a don Salvatore Pancari due stanze terrane al n. 135, una al n. 137, sette stanze terrane al n. 138, ed orto secco: nessuna traccia di piano superiore.
5]Risulta già sopraelevato nel 1851. Proprietari ne erano gli eredi di donna Concetta Toro. A piano terra sorgeva una stanza al n. 125, tre stanze basse al n. 126, al secondo piano nove stanze al n. 126, un orto secco, due stanze basse al n. 127.
6]Nel 1851 i proprietari eredi del b.ne don Giombattista La China dichiarano una stanza terrana al n. 56, altre due stanze terrane ai nn. 57 e 58, un secondo piano di sette stanze al n. 58, un orto secco, un magazzeno al n. 59, un altro magazzeno al n. 60, due stanze al n. 61, un piano nobile di nove stanze sempre al n. 61, un orto secco, altri due magazzini ai nn. 62 e 63. Dell’edificio c’è traccia nel 1748, quando il suo proprietario, don Francesco Maria La China dichiara «un tenimento di case di propria abitatione consistente in undici corpi…q.ro di S. Francesco di Paula conf. con case del dr. don Mario Occhipinti….»
7]Nello stesso 1851 gli eredi di don Carlo Occhipinti dichiarano tre stanze terrane (dentro l’atrio) al n. 66, tre stanze basse al n. 66, un secondo piano di nove stanze al n. 66, un orto secco. Dell’edificio c’è però traccia sin dal 1748, quando il proprietario, dr. don Mario Occhipinti dichiara «una casa in corpi n. vent’otto sotto e sopra di propria abitazione con comodità di due lochi di dietro, porticale e gisterna…quarterio di S. Francesco di Paula conf. con casa del dr. don Francesco Maria La China…».
8] L’antico Piano dei Cappuccini fu chiamato Piazza della Libertà nel 1864, nome cambiato nel 1933 in quello di Piazza Principessa Maria José e reintitolata nel 1946 ai Sei Martiri della Libertà cap. Costante Bonifazio, carb. Giovanni Scibilia, serg. Maggiore Giovanni Catalano ed ai soldati Giovanni La Lota, Vincenzo Modica e Giovanni Baldanza (da “Il chi è delle vie e piazze di Vittoria, di Gianni Ferraro).
9]Così chiamata nel 1933 in onore del sindaco che costruì il Municipio ed il nuovo Teatro (1825-1893), sindaco dal 1868 al 1874 e poi dal 1889 al 1890.
10]L’area oggi compresa all’incirca tra piazza Daniele Manin (Senia) e la via Cristoforo Colombo.
11]Era procuratore del Conte nel 1666, quando fu concesso il quarto mulino. Ricoprì anche più volte la carica di governatore, ma poi dovette cadere in disgrazia, se nel 1714 furono sequestrati ai suoi eredi beni per circa 2.000 onze, tra cui circa 16 salme di terra alle Cannavate o Cava di Cammarana (in gran parte irrigue e con un giardino), un mulino detto appunto di Garì (probabilmente il quarto, poi detto di Camera Aranci e quindi Caglia), due paratori, terre a Cappellares, vigne a San Placido (65 m.ra) e nelle terre Comuni (m.ra 46, quasi depersi, probabilmente sono la Vignazza di cui parla Paternò e che confinano con la chiusa detta di Crespos, un tempo di don Gabriele Crespos y Alarcón), due dispenze per il vino, a confine con altre sue case nel q.re di San Giovanni.
12]Non sappiamo molto di questo personaggio, nato nel 1662 e morto nel 1737. Nel 1736 aveva acquistato una grande casa con orto, pozzo, stalle nel quartiere della Grazia (oggi palazzo Scrofani in piazza), a confine con altri suoi magazzini e morendo lasciò ai nipoti don Gio. Batta e don Simone (figlio di don Antonino e di donna Biaggia Catalano) 18 tumoli di terre «girati di muro a tabia, con suo piccolo corso d’acqua e commodità di casa e gebia» in contrada della Croce: si tratta dell’attuale zona di via Cristoforo Colombo nota come Orto don Gratio. Interessante è che nelle terre scorresse un piccolo corso d’acqua di cui diremo appresso.
13]«…questa pietra di color rossigno ha una grana così fina, che s’avvicina di molto al liscio del marmo»..