La chiesa San Giuseppe e le vicende del Conservatorio poi Monastero della Sacra Famiglia.
Così descriveva la chiesa di San Giuseppe nel 1944 Giovanna Garretto Sidoti: «Esterno poverissimo ed oggi ricostruito a cemento liscio; l’interno, con il soffitto dipinto, dà l’idea della pomposità barocca. Una decorazione, quasi folkloristica, fa da cornice a tre grandissimi quadri e, con essi, dà quel senso di teatralità propria del Barocco, accresciuto dal grande quadro che orna l’Altare Maggiore raffigurante la Sacra Famiglia in uno sfondo paesistico di sicuro effetto scenico.
L’architettura in se stessa è povera: una sola navata adorna di cappelle corrispondenti, di cui qualcuna è molto ricca, con quelle colonne tortili, ornate di stucchi dorati. Medaglioni e riquadri di stucchi bianchi con figure di Santi ornano l’abside e gli interspazi delle cappelle. Anche qui l’altare più ricco è quello maggiore, tutto di finissimo marmo policromo con colonne libere di stile corinzio e putti in marmo. Esso anima tutto l’insieme e ne accresce il senso del movimento». In merito alla volta della chiesa, scrive ancora l’autrice:
«Sino a quasi tutto il Settecento, la pittura e la scultura hanno funzione decorativa; difatti vengono con esse arricchiti gli altari fino a trasformarli in veri e propri scenari; le chiese sono veri saloni dai tetti fastosamente dipinti per tutta la loro ampiezza, i quadri sacri risentono le sdolcinature e le delicatezze del secolo aristocratico. Anche a Vittoria abbiamo esempi di decorazione settecentesca nella chiesa di San Giuseppe. Abbiamo accennato al tetto, che contiene tre tele dipinte con gran pompa in cornici fastose: esse rappresentano: “Il riposo durante la fuga in Egitto”, “I pastori che offrono i doni al Bambino”, “Lo sposalizio della Vergine”. Le tre composizioni settecentesche e, precisamente del 1734 (Maganuco) furono ritoccate dal pittore La Leta di Comiso nel 1897, che le alterò notevolmente». La pena della Garretto Sidoti certamente si sarebbe accresciuta in seguito, se avesse appreso che nel 1950 le tre tele furono distrutte con tutto il tetto e sostituite con dipinti del ragusano Cannì, a loro volta distrutti recentemente, in occasione del rifacimento della volta della chiesa. Ma andiamo con ordine e vediamo come si presenta oggi la chiesa (che è sede parrocchiale dal 1926). Entrando, a sinistra, sopra una porta laterale, c’è un bassorilievo recante un paesaggio, in stucco. Quindi seguono:
- l’altare della Sacra Famiglia con il grande quadro del 1871 di Giuseppe Mazzone, «di grande spazialità luministica e pittorica» (Campo), restaurato a cura dell’Associazione Italia Nostra e della Banca di Credito di Siracusa (e fino a pochi anni fa nell’Altare Maggiore); nella parete seguente un:
- bassorilievo del Sacro Cuore, in stucco, di Salvatore Sciacco; quindi seguono:
- l’altare del Sacro Cuore con statua;
- altare di San Giuseppe, con quadro ad olio raffigurante il “Transito di San Giuseppe”, una tela del pittore Antonino Scalogna[1], di cui così scriveva Garretto Sidoti, «Alla scuola caravaggesca siciliana (Maganuco) appartiene pure la “Morte di San Giuseppe”…Il Cristo, dal rosso mantello, si china affettuosamente sul padre suo adottivo che è in agonia; la Madonna si asciuga il pianto anch’essa chinata sul letto di morte. Sopra, alcune teste di angeli formano quasi una croce, più in alto l’Eterno Padre piccolo quasi a dare l’idea dell’altezza da cui guarda, è pronto ad accogliere nell’alto del cielo l’anima del Santo». L’opera, firmata e datata 1677, probabilmente proviene o dalla vecchia chiesa di San Giuseppe o più probabilmente da San Vito, dove un “Transito di San Giuseppe”, posto assieme ad un “Transito della Beata Vergine” nell’Altare Maggiore, è censito nel 1834 (La Barbera).
- Nell’abside, con al centro l’Altare Maggiore (consacrato nel maggio 1767, data presunta quindi del completamento dell’opera), da sinistra abbiamo un medaglione in stucco di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, un secondo con Carlo Magno Imperatore; nella parte destra altri due medaglioni con Santa Margherita da Cortona e Sant’Antonio Abate (riconoscibile dalla campana e dalla fiamma); in alto a sinistra, l’Arcangelo Michele, alla destra San Giovanni, in rilievo; al centro un grande rosone raffigurante la “Gloria di San Giuseppe”. Sulla parete destra, subito dopo l’Altare Maggiore, si aprono i seguenti altari:
- del Battistero (prima forse dell’Immacolata Concezione), con bassorilievo in terracotta dell’artista caltagironese Gianfranco Ridolfo, del 1998; in una nicchia laterale tre statue in cartapesta raffiguranti la “Sacra Famiglia”, opera dello stesso Ridolfo; segue:
- altare del Crocifisso (con colonne tortili, angeli piangenti e simboli della Passione), con scultura in legno di «straordinaria ed incisiva espressività religiosa ed artistica» (Campo). Seguono ancora:
- riquadro con bassorilievo in stucco raffigurante San Francesco Saverio[2];
- altare della Madonna del Rosario, in cui è inglobato un gruppo scultoreo rappresentante la Madonna del Rosario con Santa Caterina e San Domenico.
Sotto l’Altare Maggiore (con accesso dalla sacrestia), vi è un’un’ampia cripta con volta a crociera e pilastro centrale (un tempo utilizzata per le sepolture), dove oggi sono custodite due statue: una di San Carlo di Sezze (1613-1670, santificato nel 1959), in legno, probabilmente del Settecento, già nel Monastero della Sacra Famiglia; l’altra di Sant’Antonio da Padova, statua databile agli anni ’30 del Novecento, opera probabilmente di Stuflesser di Ortisei.
Nella sacrestia è la campana recante la data del 1691 di cui parla La China, ma l’esame di alcuni documenti inediti ci ha testimoniato che l’altare maggiore esisteva già nel 1686, quando vi furono fondate alcune messe; vi si può ammirare inoltre un quadro del “Figliol prodigo”, a prima vista del Settecento. Secondo Zarino, nella chiesa esisteva un dipinto raffigurante “La Madonna della Catena”, opera di Giuseppe La Leta (fine Ottocento). Un bassorilievo in stucco con paesaggio, sotto un’altra uscita, chiude la lunga parete. Sopra il portale, il nuovo organo, del 2010[3]. Infine: «Recentemente, durante i lavori di restauro della Chiesa, è stato evidenziato, sulla parete della finestra della sacrestia, un orologio solare che, con uno studio accurato del prof. Giuseppe Mangione, è stato ripulito dalle incrostazioni e dalla polvere. Oggi è ritornato alla luce, arricchendo ulteriormente il patrimonio storico-artistico della chiesa» (Campo). Questa oggi la chiesa, al cui fianco oggi sono costruiti i moderni locali utilizzati per breve tempo come Tribunale ed oggi sede del Comando dei Vigili Urbani e del Settore Ecologia. In ogni caso, parlare di San Giuseppe, senza parlare dell’antico Monastero non si può…
NOTE
1]Di un Antonino Scalogna residente a Vittoria possediamo il rivelo del 1682:
«411. Revelo di Antonino Scalogna delli quondam Francesco e Margarita
m.e. Antonino Scalogna c.d.c. 40,
f. Angela moglie,
f. Ninfa,
f. Prudentia
non tiene cosa alcuna». Una sua figlia risulta sepolta a San Giuseppe (il nuovo?). Scalogna morì il 23 aprile 1686 e fu sepolto a San Vito.
2] Ringrazio padre Giuseppe Chiaramida, per la pazienza e per le informazioni di carattere iconografico.
3] Il parroco don Rino Farruggio, durante i lavori di restauro della Chiesa, rinvenne nella Cripta alcuni resti di una meccanica di un preesistente organo andato perduto e la cui presenza è testimoniata dal salario che veniva corrisposto ad un organista nel 1748. Riferisce Salvo La Lota che «la ricostruzione della meccanica interna è stata affidata all’organaro Antonio Bovelacci e la realizzazione architettonica di tutto l’intero impianto ligneo di rivestimento esterno alla ditta Giallongo di Vittoria. Il rivestimento ligneo si presenta in uno stile armonico con la Chiesa ma il modello ricostruito è stato ripreso dall’organo a canne presente nella Chiesa del Santissimo Salvatore di Gela.
Al lavoro di progettazione, disegno e decorazione, si è aggiunta l’abile mano del giovane scultore Marco Giurdanella, allievo di Salvatore Giallongo, il quale ha lavorato tutte le parti artistiche dell’organo dando vita così, ad uno stile tardo barocco, con intagli e rifiniture in oro, cartocci e volute settecentesche. Al centro della maschera facciale della struttura campeggia l’inconfondibile conchiglia dorata, indicativa di quello stile irregolare e spagnoleggiante, il Barocco, che ha firmato una buona parte delle architetture dei centri storici dell’Ibleo».