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3. Via Cavour

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La via Cavour da Piazza Enriquez a Piazza del Popolo.

Se qualcuno pensasse che non sia mai esistito un piano regolare di Vittoria sin dall’inizio, basterebbe guardare dal portale del Castello: sembra che l’attuale via Cavour sia generata dallo stesso edificio: dal Castello parte infatti un lungo asse verso l’interno, verso occidente, verso Terranova e Biscari. Ed anche i nostri antenati compresero che era così ed abbandonata a fine Settecento l’antica denominazione delle vie con i numeri ordinali[1], in base alla quale era denominata via Sesta, lo chiamarono Capo del Corso[2]. In seguito, nel 1842, essendo la via dove sorgeva il vecchio teatro, fu chiamata via Teatro, quindi nel 1864 le fu dato il nome di Cavour, in onore del cervello politico che con Garibaldi e Mazzini (sebbene spesso in contrasto) che riuscì a realizzare l’impensabile disegno di unificare l’Italia in un solo Stato (Cancellieri lo celebrò a San Giovanni l’11 gennaio 1861, con un bel discorso storico). La via Cavour parte da Piazza Enriquez, che per la sua conformazione elevata rispetto al piano stradale, non sembrerebbe una piazza, ma solo un tratto di via del Quarto, su cui si affaccia la notevole casa Terlato (all’angolo con la via Palestro), già sede del Giudice di Pace.

Il tratto di via Cavour dal Castello alla Piazza del Popolo mantiene ancora la basolatura in pietra di Ragusa, fatta fare da Rosario Cancellieri nel periodo della sua sindacatura dal 1879 al 1882 (furono basolate anche le vie Bixio, Garibaldi e dei Mille), sebbene le opere fossero state prima concepite dai sindaci Jacono e Leni.

Percorrendo la via Cavour dal Castello fino alla Piazza Vescovo Ricca (antico cianu di San Ciuvanni), si incontra una bella facciata in stile Liberty al n. 5. Seguono poi due imponenti palazzi. Il primo a destra, al n. 27 è l’attuale Palazzo Azzaro-Calì (già Ricciardello o Gucciardello), con pregevoli decorazioni Liberty attribuite a Vito Melodia (1920) e pavimento decorato in pece e pietra locale.

Di fronte, sorge il Palazzo oggi Gucciardello (mutazione del cognome Ricciardello, secondo Palmeri), già Palazzo Leni Spadafora, meglio noto come Case della Corte o Casa del Conte o Casa Baronale, nella struttura attuale risalente al 1736. L’edificio fu assegnato nel 1832 al barone don Nicolò Leni di Spadafora in soddisfazione dei crediti vantati nei confronti dell’ultimo Conte di Modica, per somme prestate dal 1816 in poi. Nel catasto borbonico del 1851, il palazzo risulta censito a nome degli eredi di don Filippo Neri Leni: don Giombattista e don Rosario Leni, che possiedono appunto in via Teatro al n. 14 sei stanze basse, un piano nobile di 12 stanze ed un secondo piano con una stanza[3]. Secondo quanto scrive Ignazio Paternò, nella casa nel luglio 1860 si verificò uno scontro tra Nino Bixio e Giovanni Leni Spadafora[4], a causa dello smarrimento di un tricolore, poi fortunatamente ritrovato. L’edificio fu usato come sede di scuole elementari sin dal 1936 poi come Magistrale (1937-1938), e dopo il trasferimento a San Giuseppe come Liceo Scientifico (1939-1940) e ancora il nuovo Liceo Scientifico statalizzato a partire dal 1960, ma poi fu sede di scuole elementari.

Ancora oggi è possibile ammirare all’angolo con la via Marsala una possente cantonera, mentre un’altra è a confine con il palazzo Jacono Roccadario, che occupa tutto il prospetto davanti alla basilica di San Giovanni (poi proprietà Bertone) e che chiaramente risulta addossato all’edificio, con l’occupazione di parte dell’antica piazza occupata da numerose botteghe (vedi oltre). A questa o all’altra cantonera sull’attuale via Carlo Alberto era addossata la torretta dell’orologio pubblico costruita nel 1633 (Raniolo 1990), ma io credo che l’orologio fosse nella antica piazza della Matrice, cioè alla Trinità. Di fronte al palazzo Gucciardello, è il palazzo BertoneMazzarino al n. 39 (decorazioni pittoriche di Antonino Cannì di Ragusa)[5].

Il luogo dove oggi sorge la piazza, sin dall’inizio, oltre alle botteghe, era sede di abitazione. Nel fare il suo testamento, Antonuzo Garofalo, così faceva scrivere nel 1632:

«possiede un tenimento di case in più corpi cioè tre solerati [a primo piano] chiamati li palazzella, e uno terrano chiamato la cucinaconfinanti con botteghe di Antonino Custureri, vie pubbliche ed altri confini». A seguire, altre due case terrane con accanto un casaleno, a confine con «botteghe di Antonino Custureri, baglio dello stesso testatore ed altri, una delle quali case è la stessa appartenente un tempo al fu Vincenzo Monello padrone del terreno dove al presente è fondata e fabbricata questa Terra di Vittoria». Si tratta quindi di case tutte nell’isolato oggi occupato dal Palazzo Scrofani o Palmeri di Villalba, comprato dopo il 1810 appunto dagli Scrofani.

La piazza, oltre che dalla chiesa, è dominata da Palazzo Ricca. Ma prima di dire qualcosa su questo edificio, occorre richiamare l’attenzione dei lettori sul ruolo della piazza. Distante duecento metri circa dal Castello, fu sin dall’inizio uno dei luoghi più importanti. Sin dal 1616 vi sorgevano quasi esclusivamente botteghe, in uno o più corpi, a volte con pileri e pinnata, cioè una sorta di loggiato, per mantenere all’ombra le merci esposte (e anche gli acquirenti). Ma il luogo era frequentato anche prima della fondazione, risultando nel 1604 già coperto di vigne (La Restia) e persino una masseria con baglio, come si è riferito sopra.  Nel 1616 vi erano registrate due botteghe, dove si vendeva lana, vino e formaggio. Man mano che la nuova Terra crebbe, aumentò anche il numero delle botteghe, passate a non meno di 11 nel 1623 (di cui ben quattro di proprietà di Antonino Custureri, figlio di Paolo), per la vendita di «formaggio, rechotti salati et oglio et altri cosi di mercantia», fra cui anche faldette, cioè le caratteristiche gonne lunghe del costume siciliano e vari altri tessuti. 14 le botteghe censite nel 1638 che, insieme con il grande fondaco di La Restia[6] (cui nel 1651 risulta annessa una posata, cioè una locanda), erano la prova di una forte presenza commerciale. Tra i prodotti venduti non mancava naturalmente il vino, di cui Vittoria era già forte produttrice, né sarde e tonnina salate. Con la costruzione della nuova chiesa, parte della piazza venne occupata e le botteghe furono trasferite più all’interno e sistemate in parte nel piano accanto alla chiesa della Grazia (dove oggi sorge il teatro), in parte davanti al nuovo edificio dell’Ospidale dei Poveri Pellegrini voluto da Matteo Terranova nel 1679 ed entrato in funzione dopo la morte del figlio don Desiderio nel 1709. La piazza del mercato fu teatro anche di un assassinio, quello di Vito Jacono o lo Jacono, ucciso a scopettate nel 1665, probabilmente per errore.

A chi ai primi del Settecento, provenendo dal Castello si dirigesse verso la piazza, si presentava questo spettacolo: superata alla sinistra la Casa del Conte, con le sue imponenti cantonere, e il grande orto secco che con essa confinava, nell’immettersi nella piazza, poteva ammirare sulla destra un grande edificio in costruzione, cioè quello del barone Giovan Battista Ricca; al centro della piazza la mole della nuova costruzione della Chiesa Madre; alla sinistra la grande casa dei Custureri, che a lato della chiesa occupava un intero isolato e arrivava fino alla via per lo scaro degli Scoglitti (oggi dei Mille). Del palazzo del barone Ricca questa la consistenza nel 1714:

«…una casa grande solerata isolata a confine con pubbliche strada e piazza consistente nel quarto di sopra in undici stanze cinque mezzaline e nove di abbasso, alcune delle quali in fabbrica; una carretteria  a confine con case di Antonino Migliorisi e stalla del rivelante; una stalla con pagliarola a confine con magazeno del sac. don Francesco Migliorisi e carretteria del rivelante; due grandi dispense a confine con case di Antonino Migliorisi e di Giovanne Ricca; una piccola casa terrana a confine con case della Ven.le Cappella di Santa Maria del Carmine e strade pubbliche» (nel 1748 don Enrico Ricca vi possiede anche un giardino interno con aranci e melograni)[7]. Negli ultimi decenni, il palazzo ha ospitato prima il Liceo Scientifico, poi la Pretura e fino all’a.s. 2022-23 è stato sede del plesso intitolato ad Oliver Di Falco (con classi di scuola media ed elementari), appartenente all’Istituto Comprensivo San Biagio.

Quanto al grande isolato dei Custureri a lato della Chiesa Madre (lungo l’attuale via Carlo Alberto), nel 1748[8] era occupato da una casa in 49 corpi, con 2 magazzini e 3 cisterne (oggi vi sorgono le case: Scrofani-Palmeri di Villalba, palazzo Pancari oggi Rizza e un condominio moderno di proprietà Rizza, costruito su case già Scrofani-Pancari). Vendute nel primo decennio dell’Ottocento dall’ultima dei Custureri, donna Agata, al barone Scrofani, le case così risultano descritte in parte nel catasto  borbonico del 1851: in via Duomo oggi Bari risultano intestate al b.ne don Emmanuele Scrofani (1786-1858) una bottega al n. 122, sei stanze basse ai nn. 123-124, un secondo piano di due stanze ai nn. 123-124, quindi un piano nobile di quattordici stanze ai nn. 123-124, una stanza bassa al n. 125, un magazzeno al n. 126, tre stanze basse al n. 129, tre stanze solarate al n. 129, una stanza terrana al n. 131, mentre sulla via Ospedale oggi Carlo Alberto una stanza terrana al n. 24, un magazzeno al n. 25, stanza terrana al n. 26, stanza terrana al n. 27, stanza terrana al n. 28.

Una parte dell’isolato, a confine con l’attuale proprietà Palmeri di Villalba, pervenne poi al barone Francesco Salesio Scrofani (sindaco dal 1861 al 1868) e da questi ai nipoti Pancari. L’abitazione degna di nota è quella di proprietà oggi Palmeri di Villalba, che risulta ristrutturata dai coniugi Emanuele Scrofani e Concetta Jacono Roccadario nel 1883 secondo un progetto del dottore in Agraria Angelo Zironi (lo stesso che fece il progetto della casa della Madonna della Salute e collaborò con Eugenio Andruzzi a quello della chiesa del Sacro Cuore). Le volte dei salotti e del salone furono poi dipinte da Gioacchino Santocono, lo stesso che dipinse le volte dell’attuale villa Davide, la casa del sindaco Giovanni Porcelli Mazza e la volta della Sala degli Specchi a Palazzo Jacono. Oltre alle volte, pregevoli quattro pavimenti originali in ceramica di Vietri sul Mare, in Campania.  

 

NOTE

1] La via Prima era la via Beccheria oggi Ancona, la Seconda la via Canale oggi Gaeta, la Terza la via Senia di Foti oggi Castelfidardo, la Quarta era la via Acquedotto oggi Cialdini, la Quinta la via Pino oggi Principe Umberto, la Sesta l’attuale via Cavour, la Settima la via Ospedale oggi Carlo Alberto, l’Ottava la via Menecolo oggi Bixio, la Nona la via Palma oggi Magenta, la Decima la via Palestro, l’Undicesima la via Ipparina o Ipperia oggi San Martino, la Dodicesima la via San Biagio oggi Montebello, la Tredicesima la via San Francesco di Paola oggi Como (Fabrizio Traina, Toponomastica di Vittoria dal 1820 ad oggi, Lions Club Vittoria 1990). Tali denominazioni, desunte da La China, sono confermate in un documento del 1781 sulle risorse idriche presenti in città, di grande interesse, da me recentemente acquisito grazie al dr. Di Stefano, dall’Archivio Comunale di Comiso
2]Tale denominazione risulta dal Rivelo cenzuario del Conte di Modica, manoscritto sui censi dal 1769al 1802
3]Gli eredi di don Giuseppe Jacono Leni possedevano invece un orto, a confine, al n. 15, probabilmente lo stesso espropriato al Conte in pagamento dei debiti verso i suoi creditori. I Leni in via del Paratoraro (oggi Marsala) ai n. 12 e 13 due case terrane ed in via Ospedale (oggi Carlo Alberto) un magazzino: insomma metà dell’isolato, probabilmente tutta l’area coperta oggi dal palazzo.
4]Figlio di Rosario, uomo politico e scrittore, nato nel 1809 e morto nel 1889, fu più volte assessore, sindaco dal 1853 al 1855 (al tempo del secondo colera) e dal 1876 al 1878. A lui si deve il completamento del nuovo Teatro Comunale, da lui intitolato a Vittoria Colonna e inaugurato il 10 giugno 1877.
5]Le notizie sui mastri e i decoratori in stile Liberty sono tratte dall’opera di Alfredo Campo, Il Liberty a Vittoria
6]Come si è già detto, probabilmente sorgeva lungo l’attuale via del Quarto.
7]Nel catasto del 1851, il grande edificio è diviso tra Ferdinando Ricca (che possiede un magazzeno, un orto secco, due officine basse, al secondo piano sei stanze (e mezza cucina) al n. 181; mentre il marchese don Alfonso (però già morto nel 1850) possiede al secondo piano otto stanze (e mezza cucina), al terzo piano due stanze al n. 181 e 6 stanze basse alle spalle, in via Pino (oggi Carlo Alberto); otto stanze basse ed un orto secco risultano intestate al cav. don Federico Ricca in via Duomo oggi Bari.
8] Il rivelo del 1714 è purtroppo incompleto.

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