La Chiesa e il Convento della Grazia.
Il primo edificio che sorse in questa zona ad occidente, fu quello della chiesa della Grazia, dal 1612 in poi1, al limite delle terre Comuni che, partendo dalla valle, a semicerchio circondavano il nuovo insediamento e precisamente nella contrada Critazzi. Nei pressi della chiesa, dove oggi sorge il Monumento ai Caduti, fu scavato un pozzo. Dietro il pozzo, si aprivano alcune grotte, forse quelle appartenenti ad Andrea Terranova, in cui nel 1630 furono ospitati i 14 naufraghi “turchi” sbarcati a Cammarana e tenuti in quarantena per il timore che portassero la peste2.
La chiesa risulta completata già nel febbraio del 1619, quando per primo vi fu seppellito Paolo Custureri (1550-1619), ricchissimo comisano trasferitosi a Vittoria di cui risulta già secreto nel settembre 1609 ed enfiteuta di oltre 70 salme di terra sin dal 1588. Fu lui anche ad assegnare 4 onze alla costruenda chiesa nel 1617, che già nel rivelo del 1616 risulta dare appunto il nome al “quartiero della Grazia”. Della chiesa pre-terremoto sappiamo da La Barbera che oltre all’Altare Maggiore intitolato alla Madonna della Grazia, esistevano altari dedicati a San Marco e alla Madonna dei Mari, mentre in quella ricostruita dopo il 1693 c’erano gli altari di San Diego di Alcalà (La China) e della Madonna del Lume (La Barbera). Nella chiesa della Grazia nacque la prima Confraternita di Vittoria, quella dell’Immacolata, nel 1622. Sin dall’inizio, per impulso del conte di Modica, Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera (che dichiara di voler esaudire il desiderio della madre Vittoria Colonna), l’amministrazione comitale si mosse per costruire un convento di Frati Francescani, per la gran devozione che la famiglia Enriquez aveva per San Francesco d’Assisi, come sappiamo dalla storia degli Enriquez e dallo stesso testamento di Vittoria Colonna). Pur essendo stata assegnata nello stesso 1619 l’area per la costruzione, del convento -autorizzato il 29 novembre 1634- c’è traccia solo nel 1635 sotto titolo di Santa Maria di Gesù, denominazione caratteristica dei Minori Osservanti3.
Dall’esame dei documenti provenienti dall’Archivio di Stato di Ragusa e dai riveli dal 1616 al 1748, recanti testamenti e donazioni, possono essere individuati altri altari, esistenti nel Seicento e nel Settecento. Probabilmente all’altare dell’Immacolata si riferisce la donazione di Mariano Calandra del 1629, seguita da numerose altre nei decenni seguenti all’Altare della Madre Santissima dell’Immacolata Concezione (1678), in seguito chiamata anche Cappella della Santissima Concettione (o della Immacolata Conceptione o della Immaculata Signora)4. Abbiamo notizia dell’altare delle Cento Messe nel 1638, della Madonna dei Mari nel 1650 e nel 1714, del SS.mo Crocifisso nel 1653, del Santissimo Purgatorio nel 1680 (denominata poi Cappella delle Anime del Santo Purgatorio nel 1717), di Santa Maria degli Angeli o Cappella di San Francesco nel 1681, di Sant’Isidoro nel 1694, del beato Giacomo de Marchia nel 1714, di San Sebastiano nel 1720, di Sant’Anna nel 1744 e di un’Opera di San Diego nel 1811.
Di questi altari oggi resistono solo quello dell’Immacolata, di San Francesco, del SS.mo Crocifisso, delle Anime del Purgatorio, di Sant’Anna, oltre naturalmente all’Altare Maggiore che mai ha cambiato denominazione, essendo intitolato alla Madonna della Grazia.
La chiesa fu danneggiata dal terremoto del 1693 e completamente rifatta nella facciata (ultimata nel 1754) e nell’interno, lungo tutto il Settecento. Scrive Alfredo Campo «la facciata…, dopo il terremoto del 1693, venne realizzata secondo lo stile tardo-barocco ibleo utilizzando la pietra d’intaglio delle cave di don Orazio Mandarà, nella prima metà del Settecento…Al prospetto venne conferita dinamicità, eleganza e flessuosità muraria con la parte centrale sporgente e i due lati concavi. La facciata è rialzata da uno zoccolo e da una gradinata (sette gradini), circoscritta al portale centrale che si conclude con un arco a tutto sesto, coronato da uno stemma con angeli. Lo spartito architettonico, mosso dalla muratura sporgente nella parete centrale, concava ai lati, con lesene intercalate da nicchie a conchiglia, da cornici marcapiano sporgenti che lo dividono nei vari piani, viene delimitato e concluso da una cornice sinuosa che, come un nastro decorativo con volute arricciate all’interno, avvolge e assieme alle cornici orizzontali frena il verticalismo dell’insieme. Risulta così una facciata dal raro equilibrio compositivo, ricercata nel rapporto luce-spazio e risolta morbidamente dal chiaroscuro efficace, caratterizzato dal divenire della materia barocca nella flessuosità, leggerezza e grazia architettonica. L’ultima parte, con la cella campanaria e il suo timpano, conclude il costrutto architettonico nel gioco sapiente di linee verticali, orizzontali e curvilinee, che agitano la materia plastica in un’armonica ed equilibrata espressività barocca»5.
In due nicchie esistevano le statue di Santa Maria e di San Giuseppe, eliminate perché pericolanti con delibera del 31 dicembre 1909 (La Ferla). Ultimata la facciata, l’interno risulta completato negli anni ’70 del Settecento, su iniziativa di frate Pasquale d’Avola.
La chiesa contiene parecchie opere d’arte, frutto anche delle ricchissime donazioni e lasciti che i Vittoriesi in modo massiccio a cominciare dal 1617 fecero alla chiesa e poi al convento e in particolare ad alcuni altari. L’interno è a una sola navata, con cinque cappelle per lato (la China ne conta stranamente otto nel 18906). Cominciando dalla sinistra abbiamo:
- altare dedicato a Santa Elisabetta d’Ungheria (con statua);
- altare di Sant’Antonio da Padova (con statua offerta nel 1923 dal cav. Giovanni Farfalla);
- altare del Sacro Cuore di Gesù (con statua);
- il pulpito (realizzato nel 1960 da Pietro Tagliazucchi di Carrara);
- altare di Sant’Anna («con tela dedicata a Sant’Anna, San Gioacchino e l’Immacolata, realizzata nel 1717 dall’artista Antonino Manoli» (Campo);
- altare dell’Immacolata (con statua);
- l’altare maggiore ha un grande quadro ovale che rappresenta la Madonna della Grazia fra San Giovanni e San Francesco d’Assisi, «opera di straordinaria espressività religiosa, evidenziata da una ricca cromia e da elementi chiaroscurali e luministici che richiamano la scuola caravaggesca. Di grande rilevanza artistica sono i quattro ovali dipinti con le figure Charitas, Fides, Spes, Oboedientia» (Campo).Passando al lato destro, abbiamo:
- altare del Crocifisso (con un quadro dell’Addolorata e Crocifisso in legno, donato nel 1938, opera dell’artista Santifaller da Ortisei);
- altare di San Francesco d’Assisi, con statua antica in legno (posta nella nicchia aperta nel 1938), offerta dal cav. Salvatore Ricca, restaurata) e quadri della Madonna di Pompei e di San Giuseppe col Bambino Gesù;
- spazio davanti alla porta del chiostro prima utilizzato come cappella della Madonna del Lume (con quadro del 1736, con la scritta Fr. Rafaelis, recentemente restaurato per conto del Soroptimist Club di Vittoria), la cui tela per il prof. Campo sarebbe da attribuire «alla scuola del Borremans per alcuni, per altri a quella di Olivio Sozzi», a meno che quel Rafaelis non sia l’autore stesso, visto che sembrerebbe un genitivo, cioè “di Frate? o Francesco? Raffaele”;
- altare delle Anime del Purgatorio, con tela raffigurante l’Onnipotente, S. Teresa, S. Giovanni e le Anime Purganti7;
- altare di S. Marco (con statua offerta dal comm. Giovanni Leni di Spadafora nel 1923, opera di Rosa e Zananzio).
«La chiesa è arricchita da straordinari ed espressivi gruppi scultorei della bottega del Gianforma rappresentanti putti reggicartigli, riportanti le frasi bibliche e devozionali, legate al tema dell’altare e dello spirito francescano» (Campo).
Nella sacrestia è ancora custodito il grande armadio di noce pregevolissimo, opera di Carmelo D’Asta8 (con i 4 Evangelisti e S. Francesco a rilievo), un Crocefisso e numerosi quadri fra cui un San Diego di Alcalà, datato 1723, di Sebastiano Alotti (1699-1753)9. Inoltre un’ “Addolorata”; una “Santa Lucia” della scuola del Novelli (Campo) e “Santa Filomena” (1840) di Vaccaro (Campo).
Complessa la storia del convento. Nato senza chiesa, si pensò di rimediare aggregando chiesa e convento in un unico organismo nel 1638 (atto del 5 gennaio), ma ben presto la loro storia si separò. Il convento, a seguito di uno scandalo avvenuto nel 1650, fu declassato ad ospizio10 prima del 1664 e risulta riabilitato dal marzo 1669. La chiesa, oggetto di grande devozione, continuò invece a ricevere lasciti e donazioni, che la misero poi nelle condizioni di essere ricostruita, assieme al convento, di cui fu edificato anche un piano superiore. Prima del 1726 fu rifatta la fovea magna sotto il pavimento della chiesa, cioè la struttura sotterranea per il seppellimento dei cadaveri (ne abbiamo traccia in un atto del 1726 relativo ad una controversia tra i frati e don Giuseppe Mazza, che donò un orto (oggi vi sorge il condominio a fianco del convento).
All’interno della chiesa, nel 1876 fu fondata la Congregazione di San Luigi Gonzaga (La Barbera).
Lo sbarco di Garibaldi e la proclamazione del Regno d’Italia portarono profondi cambiamenti, fra cui le leggi eversive dell’asse ecclesiastico, approvate nel luglio 1866. In base ad esse, la chiesa ed il convento della Grazia passarono al demanio (gennaio 1867) che nel maggio successivo le consegnò al Comune. Nel corso degli anni seguenti, mentre altri due locali vennero assegnati alla Società Operaia (già concessionaria di spazi a piano terra come erede della antica Confraternits di San Francesco, nata nel 1732), altri uffici comunali (Ufficio Tecnico al 1° piano) e statali (Regia Posta a piano terra; Telegrafo; Pubblica Sicurezza, al 1° piano) occuparono il convento.
Nel 1885, il Comune cedette alla Provincia (allora di Siracusa) i locali al primo piano occupati dai Reali Carabinieri, con la clausola che quando i Carabinieri fossero andati via, tali locali ritornassero agli antichi proprietari «così come permutati», cosa che privò il Comune della proprietà totale dell’edificio, facendo un grosso regalo alla Provincia. I Carabinieri andarono via nel 1936, per trasferirsi nel Palazzo pancari (oggi Rizza, in via Bixio). Pertanto nel febbraio 1938, in un atto contestuale, la Provincia (ormai di Ragusa) restituì l’uso dei locali al Comune, che li diede al Demanio, che a sua volta li assegnò alla Curia Vescovile della Diocesi di Ragusa, come rettoria della chiesa. Il convento e la chiesa, restaurata già nel 1923 e nel 1928, furono riaperti al culto l’8 dicembre 1938.
Nel convento rimasero però alcuni uffici comunali, poi sgombrati; negli anni ’60 e ‘70 i frati aprirono una scuola per l’infanzia, mantenuta fino alla metà degli anni ’80 ma l’abbandono totale da parte degli Osservanti della struttura consentì il reintegro degli antichi proprietari: il Comune e -purtroppo- la Provincia. Destinato sin dal 1976 ad essere utilizzato come Centro Servizi Culturali, i locali dell’ex convento sono stati completamente restaurati grazie ai fondi della l. 433/91 a seguito del terremoto del 13 dicembre 199011. Con un protocollo d’intesa, la proprietà è stata confermata alla Società Operaia di Mutuo Soccorso “Ferdinando Jacono”, al Comune e alla Provincia (che riceve annualmente un fitto dal Comune).
A piano terra della struttura si apre uno degli accessi alle gallerie sotterranee della piazza, cioè i rifugi antiaerei realizzati nel 1941-1942, allargando probabilmente preesistenti gallerie.
NOTE
1] Paolo Monello, La chiesa ed il convento della Grazia, 2012
2] La pestilenza del 1624 a Palermo, diffusasi poi in gran parte della Sicilia, era scoppiata a seguito della cattura di una nave turca piena di tappeti, uno dei quali, infetto, fu regalato al viceré Emanuele Filiberto di Savoia, che ne morì, dando il via ad una vera e propria strage.
3] Il riconoscimento fu decretato il 29 novembre 1634 (Paternò e La China). La data del 1632 riferita da Rocco Pirri (Sicilia Sacra, pag. 633) può benissimo essere intesa come inizio della costruzione.
4] Non bisogna però dimenticare che il dogma della Immacolata Concezione fu definito solo nel 1854.
5] Questa la descrizione della Garretto Sidoti nel 1944: «Dall’esterno si osserva una bella facciata di stile barocco, ricca e leggiadra che si erge su una gradinata. Essa risale al 1750. Meravigliosi effetti pittorici sono stati ottenuti per mezzo dell’ondulazione della parete che è concava ai lati e convessa al centro. Si ripete qui il motivo della chiesa di San Carlino del Borromini, da allora in poi usato quasi in tutte le costruzioni dell’ultimo Barocco. La facciata consta di tre partiti architettonici compiuti. Il primo contiene, nel centro, la porta d’entrata la quale è sormontata da putti che sostengono una targa; ai lati, due nicchie vuote che portano nel cavo alto la tipica conchiglia barocca. Esse sono ripetute nel secondo partito il quale, in basso, ha la stessa larghezza del primo ed è ornato da un’elegante balaustrata. Nella parte centrale, in corrispondenza della porta, si trova l’unica finestra della facciata, ornata anch’essa da balaustra. Il terzo partito architettonico, che forma la cella campanaria la quale divide a due a due quattro pilastri, si inizia con il motivo della balaustrata. In alto, un attico sormontato da pinnacoli aumenta lo slancio e l’eleganza di tutta la costruzione. Due graziose volute raccordano il primo partito con il secondo e questo con il terzo. Pilastri con capitelli compositi e dorici di forte aggetto dividono il primo partito architettonico in cinque parti, rendendo concavo il corpo centrale che per la flessione della muratura è convesso… Nicchie e pilastri accentuano i magnifici chiaroscuri, dati dall’ondulata linea della costruzione».
6] «Quell’Altare maggiore, con la custodia relativa, formanti un assieme di eleganza, quella balaustrata, e quei otto altari, cose tutte di finissimo marmo, le assicuro che mi lasciarono una impressione assai gradita!» (La China, pag. 322).
7] «L’opera richiama quelle di Antonio e Francesco Manno, i quali hanno lasciato quadri con lo stesso tema nella nostra zona e precisamente nella chiesa del Purgatorio di Ragusa Ibla; un’altra opera similare, firmata dal sac. Mauro e datata 1744, si trova nella chiesa di S. Bartolomeo ad Ispica, un’altra ancora del 1738 si trova nella chiesa di Santa Maria di Betlem di Modica. Riferimenti artistici dal taglio grafico compositivo similare sono riscontrabili nella tela di Rosalia Novelli “Estasi di S. Teresa”, che si trova nella chiesa di S. Biagio a Comiso, ed ancora un’altra opera, da inserire nello stesso contesto storico-artistico, ma di pittore ignoto, è la “Trinità e le anime purganti” che si trova a Siracusa nella chiesa di S. Filippo apostolo» (Campo).
8] M.ro Carmelo d’Asta nacque probabilmente nel 1740, figlio di m.ro Antonino (rivelo del 1748).
9] Del pittore, nativo di Caltanissetta (Palmeri), possediamo il rivelo del 1748, dove si legge: «225.Don Sebastiano Alotti figlio delli qdm. Matteo e Caterina olim jugales», che dichiara una famiglia composta da lui, 47enne, dalla moglie Anna Maria e dalle figlie Caterina Celidonia e Teresa e dalle serve Isabella e Guglielma. Non dichiara nulla né casa né beni mobili, ma quel don e le due serve ci rivelano che doveva essere benestante e riverito.
10] Era la fase preparatoria nella erezione di un convento.
11] Per una storia completa, cfr. Paolo Monello, La chiesa ed il convento della Grazia a Vittoria, 2012