Le grotte nei documenti.
In verità due toponimi, Grotte Alte e Celle, attestano che nei luoghi dove nacque Vittoria numerose cavità caratterizzavano le rocce a strapiombo sulla valle e lo stesso altopiano, come ci confermano anche i primi studi sui luoghi. Julius Schubring, nel suo Camarina[1] (scritto nel 1864 e pubblicato nel 1881) scrive infatti che «le pareti delle rupi sul fiume Ippari contengono molti antichissimi sepolcri a finestre (ddieri), in cui si dice essersi rinvenute ossa, vasi, anfore e lampe». Ciò ci porta a dedurre che si trattasse di antichi sepolcri, probabilmente risalenti all’Età del Bronzo, del tipo di quelli di Pantalica.
Il toponimo Grutte Alti compare nel 1604 nella relazione preparata da Paolo La Restia che, in merito al luogo migliore dove fondare la nuova Terra, scrive che il sito più adatto è «a Grutti Alte, sopra li iardini di Cammarana[2], loco eminenti in lo centro di Bosco Piano vicino di lo Comiso quattro miglia et lontano dal mare da sei oi setti miglia curto e propinquo di l’aqua di xomari molini paraturi et iardini, in lo quali loco ch’è anticaglia e dicono che in tempo fu casali…».
Ancora nel testo per l’appalto del Castello (4 marzo 1607) si scrive: «Perché la S.ra donna Vittoria Colonna come matre, tutrice e balia del Sr. Don Giovanni Alfonso Enriquez de Caprera Conte di Modica ha di fabbricare una nova Terra in lo territorio di questo Contato alla q.ta di Grutte Alte nominata la Vittoria conforme al privilegio che sopra ciò have ottenuto…». Il toponimo compare poi di nuovo nel 1623, e precisamente nel rivelo di Antonino Custureri (figlio ed erede di Paolo), nella denominazione Grutti auti seu lo molino[3], quindi sparisce dai documenti e ritorna solo nel 1748; poi non ce ne è più traccia (almeno nei documenti esaminati fino ad oggi). Sopra le Grotte Alte furono costruiti il Castello, i Magazzini e poi il Monastero di Santa Teresa. Di alcune di esse, inglobate nel Castello, si parla in un documento del 1643 quando, in occasione della venuta di Giovanni Alfonso nella Contea, su disposizione della moglie furono eseguiti lavori di ristrutturazione degli ambienti.
A seguito di ciò la contessa sollecitava il pagamento «por aprecios de mi castillo y fabrica de algunas grutas por ración de nuetra venuda».
Altre grotte sotto il Castello, oggi le uniche accessibili, furono usate come rifugi antiaerei dagli abitanti del quartiere durante l’ultima guerra.
Ma il toponimo Grotte Alte non è l’unica testimonianza antica. Nel rivelo del 1616 compaiono altre grotte in contrada Martorina, una delle quali potrebbe essere quella soprannominata de setti cammiri, ritenuta dagli studiosi (Pace, Messina) un casale rupestre. Alla stessa grotta a mio avviso si riferiscono altri documenti (vedi box).
Box. A rutta de’ setti cammiri. Sulla “grotta delle sette camere” della Martorina, scrisse Biagio Pace in “Contributi camarinesi” (1920): «…[essa] comprende una grande grotta ed alcune piccole, queste ultime tutte, ad eccezione di una, danneggiatissime. La grotta principale, scavata nella roccia calcare a lieve declivio, vien dal volgo chiamata “Grutta de’ setti cammiri” sebbene in realtà sia costituita solo da cinque vani. Vi si accede per una porta arcuata volta a N-NE alta due metri e larga 1,10, che immette in una prima stanza a volta prima alta m. 2,25. In questa stanza a sinistra sono scavate due nicchie…A destra di questo primo vano si apre la stanza B, ove esistono tre fornelli incavati nella roccia, essa prende luce da due sfiatatoi circolari aperti nella sua volta concava. Nello stesso lato destro in fondo e nel sinistro, si aprono le porte di entrata di altre tre stanzette delle quali l’E prende luce da un buco laterale. Sia la porta d’entrata che quella A e D sono fornite di sporgenze contro cui aderiva l’imposta; ai lati di quest’ultima porta, la parete fino all’altezza di un metro dal suolo presenta una sporgenza di cm. 20, servita certamente per posarvi utensili; sopra di essa nella parete, ed un po’ dapertutto in questa prima stanza, si notano molti graffiti danneggiatissimi dall’umidità, alcuni dei quali rappresentano una croce». In merito alla datazione, conclude Pace: «Sarebbe avventato voler dire se e quali di queste iscrizioni siano antiche, essendo molte di esse le firme di curiosi antichi e recenti che visitarono la grotta. Questa grotta, pregevole per la sua conservazione, è una di quelle abitazioni sperdute fra boschi e monti, che in Sicilia servirono di ricovero durante tutto l’alto medioevo a pacifiche famiglie d’agricoltori e di pastori». Questa l’opinione di Pace. Sull’uso della grotta in età moderna, alla notizia riferita dallo studioso comisano di una firma graffita a nome di tale Giovanni Russo in data 9 marzo 1689, posso aggiungere che essa nel 1659 risulta proprietà di don Carlo Leni. In un atto di vendita del 4 marzo infatti si parla di una «grutta in più corpi» nei pressi di un importante nodo viario costituito dalla strada che da Comiso portava ad Eraclea (Terranova) e la strada detta dei Vanellari da Raniolo termine però da me corretto in Cavallari, cioè la strada percorsa dai soldati del corpo della Cavalleria istituita nel 1576 (e cessata nel 1636) per controllare le zone costiere; Cavallari però venivano anche denominati coloro che portavano il pesce fresco dalla marina di Cammarana ai centri dell’interno. Altre tracce di grotte sono contenute nei riveli. In particolare nel 1638 si fa riferimento ad una contrada chiamata Catodio Grandi, che dai confini sembrerebbe essere in contrada Croce, che però allora indicava l’attuale rilievo su cui è costruita la chiesa di San Francesco di Paola. Sul significato di Catodio o in dialetto catoiu (catuoiu da noi) per Piccitto[4] è una «stanza umida, sotterranea», mentre Pasqualino[5] lo interpreta come ipogeo, cioè grotta… Il toponimo Celle, riferito al complesso di grotte in gran parte distrutte dalla costruzione di viale Volturno e di Piazza Alfredo Cappellini oggi Dante Alighieri, è invece attestato nel 1682, mentre quello di Cozzo dell’Oro appare nel 1714, seguito da quello di Betlem nel 1731[6]. |
a) Le grotte di Andrea Terranova.
Ma dell’esistenza di altre grotte nei pressi del nuovo abitato testimoniano anche altri documenti. Fra tutti, la relazione sul naufragio di una nave “turca”[7], avvenuto nel febbraio 1630 sulla spiaggia di Cammarana, in cui si narra che i 14 superstiti furono, per il timore della peste, portati a Vittoria e tenuti in quarantena «nelle grotte d’Andrea Terranova luogo fuor di questa predetta Terra», dove furono visitati dal medico «d’uno per uno con exactissima diligenza e l’have trovato tutti sani e gagliardi senza sospetto nessuno di morbo contagioso (che Dio ci guardi!) havendo doppo fatto bruggiare tutti quelli robbi e vestimenti ch’avevano li suddetti Turchi». Tali grotte, a quanto apprendiamo dal rivelo del figlio di Andrea Terranova, Vincenzo, erano nel quartiere di San Giovanni, quindi in pieno centro[8], anche se non sappiamo esattamente dove.
b) La grotta dell’Orto del Crocifisso.
Di un’altra grotta è cenno nella donazione di una salma di terra fatta nel 1680 da donna Anna e Focularo (moglie di don Carlo Leni, quello che acquistò nel 1659 la grotta della Martorina), all’altare del Santissimo Crocifisso. La terra era in contrada Costa del Canale «presso la fonte o grotta dalla quale piove acqua in dette terre, confinante con la conceria o i ciaramidari…», nella zona oggi nota come Orto del Crocifisso: si tratta senza alcun dubbio della cosiddetta “rutta de’ scifazzi” o della “cunzaria”, nei pressi di quello che oggi chiamiamo il Canale, dove sin da prima della fondazione di Vittoria Paolo Custureri possedeva un ciaramiraru.
c) La grotta di via Fanti.
Che le grotte non fossero solo sul ciglio roccioso della valle, ma anche nell’interno è dimostrato dalla grotta di via Fanti, fino al 1864 chiamata appunto via Grotta, all’angolo con la via Magenta, della quale scrive La China: «Ov’erano le case un tempo…che trovansi a sinistra di chi viene dall’artico cortile inteso della Taccuna, esisteva sin ab antico, ed esiste ancora, uno sfondato, o meglio un luogo senza fondo, che dicevasi Grotte. Quando poi ultimamente si diede un assetto a tutte le vie della Città, e si demolirono i così detti bastioni, posti innanzi quelle case, nella parte anteriore delle Grotte vi s’innalzarono alquante colonne, onde trattenere le case soprastanti. Nessuno però in tal’occasione, volle internarsi in quello sfondato, perché ne sentia terrore e spavento. Esse Grotte, allo stato attuale, si mantengono invisibili, per esser chiuse da appositi muri. Ecco la ragion per cui, quella via venne un dì intitolata Grotta, oggi via Fanti».
d) Le grotte dei Cappuccini.
Altre grotte note erano quelle «dietro il convento dei PP. Cappuccini» (Busacca), utilizzate nel 1855 per seppellirvi i morti del colera e poi evidentemente murate. Di queste grotte abbiamo un cenno anche nel registro dei defunti del 1729, in cui si parla di persone decedute «nell’antro sopra la selva dei Cappuccini» (Palmeri).
e) Le Celle di Betlem e le grotte di via Volturno.
Il complesso più noto era però quello delle Celle (di cui rimangono solo un paio di grotte sotto la via Volturno all’altezza della via dei Mille, usate negli anni scorsi per il presepe ma oggi completamente distrutte). Tali grotte furono in parte distrutte nel 1849, quando la collina fu sventrata per aprirvi l’attuale via Garibaldi (inizio della nuova strada per Comiso). Fu allora che si portò a San Giovanni la statua in pietra di San Giovanni che vi si venerava e che oggi si trova al Museo Diocesano. La parte residua, quelle lungo la via Volturno, quelle che nel 1899 avevano visto l’inizio della predicazione socialista del giovane Nannino Terranova (1880-1918), furono completamente distrutte e sepolte per la realizzazione di via Volturno nel 1960. Di una «grotta di Betlemme vicino le mura» parla un atto di sepoltura del 1765, quando un tale Silvestro Giannone di Scicli, 30enne, vi morì all’improvviso (Palmeri). Don Enrico Ricca vi voleva realizzare una sede per gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio accanto alla chiesa di Betlemme, su uno sperone roccioso, ma nel 1760 il governo vicereale glielo vietò[9]. Oggi nella zona sorge la chiesetta detta di Santa Bernadette.
f) Le grotte nella memoria popolare. I rifugi antiaerei del 1940-1942.
Le grotte sotto l’allora Carcere e quelle delle Celle, le cave di Capitina lungo la strada per Santa Croce, di Carosone e di Pinnito (lungo lo stradale per Comiso) e le grotte dentro il Giardino pubblico (oggi Villa Comunale) furono tutte utilizzate come rifugi antiaerei naturali fino allo sbarco degli Americani nel luglio 1943, ma già sin dalla fine del 1940 si era provveduto a creare una rete di rifugi, in parte completati nel 1942: quelli della piazza sotto il Municipio, i camminamenti sotto il palazzo Gucciardello, quelli sotto la piazza Savoja oggi Giordano Bruno ed infine i camminamenti sotto la piazza oggi Sei Martiri, con ingresso dalla cosiddetta Fontana dei Leoni o di Garì. Autore del progetto nel 1941 fu l’ing. Emanuele Amarù, sostituito poi per sua rinuncia dall’ing. Rosario Di Geronimo, quando ai primi del 1943 il Ministero dell’Interno ordinò che si modificassero i lavori ancora da realizzare, creando delle strutture tubolari. I più ampi rifugi erano quelli sotto la piazza, da cui si accedeva da due ingressi protetti: uno nei pressi del Municipio (all’angolo tra via Carlo Alberto e Rosario Cancellieri), l’altro sotto il Teatro Comunale. Secondo Emanuele Fiorellini[10] ai rifugi si accedeva dall’androne del Municipio e dal porticale del vicino palazzo Rio.
NOTE
1] Julius Schubring, Camarina (a cura di Giuseppe Micciché), Provincia Regionale di Ragusa 2000.
[2]I giardini di Cammarana o dei villici (di cui abbiamo notizia sin dal 1494, occupavano tutta la media vallata, da Giardinello almeno a Torrevecchia, dove nel 1563 Pietro Todaro di Comiso ricevette 22 salme «confinanti con li iardini chiamati delli Novelli, con suo iardino e terre della Corte».
[3] Nello stesso rivelo è registrata una contrada Grutti, appartenente al cognato Antonuzo Garofalo, ma confina con terre di un certo don Teodoro Carnazza, probabilmente nelle colline opposte all’altopiano su cui sorge Vittoria, se proprio non si tratta della rutta de’ setti cammiri.
[4] Giorgio Piccitto, Vocabolario siciliano, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1977
[5] Michele Pasqualino, Vocabolario Etimologico Siciliano, Palermo 1785
[6]Ma che in generale la parte occidentale della Contea fosse in gran parte coperta da fitti boschi e presentasse numerose grotte è dimostrato anche da un documento inedito da me pubblicato nel 1993. Si tratta di una relazione del viceré Juan de Vega, inviata all’imperatore Carlo V, in cui Vega scrive che alcuni banditi si erano nascosti in grotte e boschi all’estremità occidentale della Contea di Modica, in una zona chiamata “el torillo”, cioè Dirillo e che per sterminarli era stato necessario bruciare il bosco…
[7] Qualsiasi nave proveniente dall’Oriente era definita “turca”.
[8]Di Andrea Terranova, modicano, sappiamo che nel 1614 ricevette terre in contrada Santoro o Cavalonga (a confine con Gelati) e che aveva due figli, uno Francesco e l’altro Vincenzo. Questi nel 1638 dichiara di possedere metà di una grotta nel quartiere di San Giovanni, a confine con la sua stessa casa (l’altra metà è del fratello Francesco).
[9] cfr. il mio La chiesa di San Giuseppe e il Conservatorio della Sacra Famiglia a Vittoria.
[10] Vittoria nella seconda guerra, inedito