La Venerabile Matrice Chiesa sotto titolo di San Giovanni Battista.
La costruzione della Chiesa Matrice venne appaltata il 6 marzo 1607 (assieme ai cosiddetti Magazzini del Conte e alla casa per i due mulini) dall’Amministrazione della Contea ai mastri Giuliano Dierna e Blandano Caccamo, che dovettero fare molto in fretta, se già nell’ottobre del 1607 la struttura, secondo quanto scrive La Barbera[4], era quasi completa. La chiesa antica occupava tutta l’area della piazza, come ci confermano sia Paternò[5] che La China[6]. La chiesetta attuale (un monovano), realizzato sulle rovine dell’antica, conserva ancora l’antico portale ed un fonte battesimale risalente al 1612. Essa «…nel 1724 venne completata in testa dell’antica Madrecchiesa, e propriamente dov’era il Coro…sotto titolo di Maria dei Sette Dolori, e…conservò sempre, e conserva ancora, il titolo di Chiesa della Trinità, quantunque chiusa al culto sin dal 1876…» (La China 1890, pag. 22). Dell’interno della antica chiesa sappiamo poco, ma Raniolo ci parla di un tabernacolo, di un crocifisso in legno e di una custodia d’argento per il SS.mo Sacramento[7].
La Barbera scrive che oltre all’Altare Maggiore (con statua di San Giovanni ed immagine di San Filippo ed una grande lampada per la quale secondo Raniolo nel 1627 si spesero onze 4.12 per mezzo cantaro[8] d’olio), sono noti i seguenti altari: di Santa Barbara, del Santissimo Sacramento[9], del Carmelo, della Santissima Annunciazione, di San Francesco di Paola, del Santissimo Crocifisso, di Santa Rosalia; della Presentazione, di San Giovanni Decollato[10]. A questi altari, in base a quanto riporta Raniolo, possiamo aggiungere altri due: quelli di San Biagio[11] e di S. Antonio[12], per i quali sono riportate donazioni. Completavano la Matrice un fonte battesimale con dipinto del Battesimo di Gesù [13](quello oggi nella nuova chiesa?), un organo (che veniva indorato di tanto in tanto[14]), due confessionali. Il campanile aveva almeno tre campane: la maggiore risulta già pagata il 7 settembre 1608, opera del mastro Francesco Mazzone, ricostruita secondo quanto scrive La China a spese di don Andrea Indovina nel 1685 (ma in quell’anno il sacerdote era già morto: pertanto dovette trattarsi di un lascito testamentario), ad opera dei mastri Fabio Pitrolo e Filippo Trusso; le altre nel 1675 e nel 1677.
Dall’esame dei registri parrocchiali, specialmente di quelli dei defunti, apprendiamo che la chiesa, oltre naturalmente ad essere essa stessa un grande cimitero con fosse e cripte sotterranee, aveva anche un cimitero esterno, documentato almeno dal 1658. Le fosse di cui si parla nel registro parrocchiale di quell’anno sono: una detta genericamente fossa nova; un’altra nei pressi dell’altare del Carmine, un’altra a lato della scalinata dell’altare di San Giovanni. Al 1662 risale invece la fossa della Congregazione del Santissimo Crocifisso. Oltre alle fosse collettive, c’erano anche quelle singole, in genere concesse in cambio di generose donazioni.
Nel 1640 la chiesa fu eretta «in parrocchiale sacramentale» ed il cappellano di quell’anno, il sacerdote don Vincenzo Sesti (a Vittoria dal 1614 come cappellano), fu nominato «beneficio curato», cioè parroco, con una dote annua di 24 onze, più altri beni, già concessi a don Vincenzo, che alla sua morte, faranno parte integrante del Beneficio: tra essi alcune case nell’attuale Piazza Enriquez di fronte al Castello, dette appunto in seguito Case del Beneficio (vedi oltre).
Nella chiesa operavano due congregazioni: la prima (con un oratorio) fu quella del SS.mo Crocifisso, nata a seguito della venuta a Vittoria del padre gesuita Aloisio La Nuza[15] nel 1644 (vedi oltre); la seconda quella della Madonna del Carmine, nata nel 1661 (La Barbera). La Chiesa Madre (che nei registri parrocchiali è chiamata quasi sempre Matrice) riceve sin dall’inizio parecchie donazioni (almeno dal 1623), mentre l’Università (oggi la chiameremmo Comune), contribuiva dal proprio bilancio con onze 6 l’anno per le feste di Natale, Sepolcri (cioè la Settimana Santa) e del Santissimo Sacramento, dando in più onze 4 per la festa di Santa Rosalia (nel 1638). Dai documenti esaminati da Raniolo e da quelli da me trascritti relativi al trentennio 1653-1682 e annessi al rivelo del 1682[16], apprendiamo che sin dall’inizio l’altare più venerato era quello del Santissimo Sacramento (legato di Giovanna di Martino di onze 6.10 nel 1638), la cui festa, secondo La China, veniva celebrata con una processione e luminarie dentro la chiesa, a far data dal 1643. Altra donazione alla chiesa fu fatta nel 1665 (Agata Causabruno donò due case terrane nel quartiere di San Giuseppe, nel piano del Castello).
Seguirono dotazioni di beni vari (di Leonardo Cannizzo e legati per messe da Francesco Manuello nel 1673), poi l’acquisto di due magazzini nel 1674, di un giardino in contrada Cammarana nel 1682. Tra gli altari, quella più dotata di beni fu la Cappella del Santissimo Crocifisso, che cominciò a ricevere donazioni in case, terre, vigne e rendite sin dal 1661 (da Antonino Persiano), cui poi seguirono i legati di m.ro Nicasio Bellardita (1662), di Filippa Frasca (1665), di Geronimo Alia (1674), Oratio Barbanti (1679), di donna Anna Leni e Focularo (che già conosciamo, 1680), di Antonino Salerno (dello stesso 1680).
Donazioni ricevettero pure gli altari della Madonna del Carmine (da soro Maria Puzzo nel 1667) e del SS.mo Sacramento (donazione Vicari, del 1674), della SS.ma Annunciazione (donazione Barone, del 1686). La chiesa possedeva anche le reliquie dei Santi Martiri Desiderio, Vittore, Faustina, Felicissimo, Pancrazio, Clemente e Benedetto, procurate da don Mario La Lisa al momento del suo insediamento come parroco (La Barbera).
Da alcuni altri atti notarili recanti donazioni o compravendite, apprendiamo che la chiesa aveva in frontespizio uno o più palazzi, con le caratteristiche cantonere e che il cimitero citato nel 1658 era «a confine con casa del sac. don Pietro[17] Mezzasalma beneficio curato di questa madre chiesa…con casa di Dionisio Zapparrata, magazeno dell’heredi del qdm Daniele Campo…» (1675).
Alla cantonera destra della chiesa, c’era il cosiddetto palazzetto del parroco La Lisa (1683-1715) di cui ci parla La China e che sorgeva quindi all’inizio della Scesa dei due Mulini, cioè all’angolo tra l’attuale Piazza della Trinità e la via Marsala. La chiesa fu gravemente danneggiata dalla scossa di terremoto dell’11 gennaio 1693. Secondo la tradizione essa sarebbe crollata del tutto e le funzioni di Chiesa Madre sarebbero state trasferite a San Vito. In tale senso vanno le notizie riferite da La China (pag. 84) e da La Barbera, che riporta la testimonianza del governatore della Contea don Juan Antonio Romeo y Anderas, che dopo la sua visita a Vittoria il 25 aprile 1694, così scriveva: «…a pena vi è remasto vestiggio, e ridotta a stato tale, che ha bisognato poner in luoco depositi li Sacramenti in quella di S. Vito». Procuratori per la ricostruzione della chiesa furono designati don Antonino Laurifici e il sac. don Isidoro Gugliotta. Inoltre La Barbera riporta quanto scritto in un latino alquanto discutibile dal parroco La Lisa, secondo il quale la Matrice sarebbe stata «demolita e rovinata e devastata dall’orribilissimo terremoto accaduto l’11 gennaio 1693» e che il 9 agosto 1695, nel chiedere al vescovo di essere autorizzato a costruire la nuova Matrice così ripeteva: «havendosi con il passato terremoto demolito quasi da fondamenti la Chiesa Matrice».
A seguito di tale situazione, con l’accordo delle autorità religiose e civili, si decise di costruire la nuova chiesa in parte della grande piazza del mercato, sulla base anche delle seguenti considerazioni avanzate da La Lisa: «perché la riferita Matrice si trova situata in luogo puoco frequentato, et in un angolo di [questa] Terra, a segno che viene assai fatigosa l’amministrazione de sacramenti…». Ma il motivo vero dello spostamento di sito fu che la Matrice, non avendo rendite sufficienti, doveva fare affidamento sulla «contribuzione de devoti». “E i devoti – dice il parroco – non volevano in alcun modo consentire alla ricostruzione della Matrice nello stesso luogo di prima.”
Il vescovo concesse quindi il 10 agosto la licenza di costruire altrove la nuova chiesa, con l’autorizzazione a utilizzare anche alcuni proventi fiscali e parte delle rendite di lasciti pii (La Barbera). Si opposero al trasferimento però i confrati del SS.mo Crocifisso, che avrebbero voluto restaurare l’oratorio (cosa possibile con poca spesa, segno che la costruzione non era stata distrutta…), ma la questione fu risolta nel 1700 con la concessione di uno spazio per l’oratorio nella nuova chiesa. A leggere questi documenti si ha la conferma che la scelta del nuovo sito non fu dettata dai danni inferti dal terremoto alla vecchia chiesa, ma dal fatto che lo sviluppo urbano della nuova Terra correva verso l’interno lungo l’asse che partiva dal Castello e che la posizione attuale risultava ormai troppo periferica.
Una prova ulteriore che la chiesa non fu distrutta dalle fondamenta è data dal fatto che si continuò tranquillamente ad utilizzarla come luogo di sepoltura per i defunti fino al maggio 1696. In merito al numero delle vittime del terremoto a Vittoria, un’errata tradizione le calcola intorno a 200. In verità nei registri parrocchiali in tempore terremoti furono registrati solo 8 morti. 28 è il numero dei morti registrato nella relazione del duca di Camastra[18], mentre nel documento del 1697 con cui si chiede l’autorizzazione a fondare un nuovo convento di Cappuccini, si parla di 40 vittime in tutto. D’altra parte, la devozione popolare per San Giovanni e la nascita della seconda festività in suo onore l’11 gennaio non si spiegherebbe se ci fosse stato un alto numero di vittime[19]. La vecchia chiesa fu pertanto a poco a poco demolita per utilizzarne le pietre e tutto ciò che fosse possibile, comprese le statue ed i quadri, se indenni.
Box. San Giovanni o Santa Rosalia? Sulla questione se San Giovanni sia stato sin dall’inizio il patrono della città, nel passato si è molto disquisito. La China riporta la leggenda (pag. 23) secondo la quale San Giovanni sarebbe diventato patrono dopo il 1693, soppiantando Santa Rosalia. In verità, la Chiesa Madre è a lui intitolata sin dal 1607, pur se un altare intitolato alla Vergine palermitana risulta oggetto di culto all’interno della stessa chiesa. Da altri documenti relativi alla costruzione del terzo mulino nel 1631, apprendiamo dell’esistenza di una chiesa definita “antica” di Santa Rosalia nella valle (vedi oltre). Ma l’evento che diffuse il culto di Santa Rosalia in tutta la Sicilia fu la peste del 1624-1626. Incapaci di far fronte all’epidemia scoppiata per un tappeto infetto portato da Tunisi, le autorità civili e religiose si affidarono al soprannaturale, grazie al rinvenimento in una caverna del Monte Pellegrino di resti attribuiti alla Santa, che nel 1627 fu proclamata ufficialmente “liberatrice” dalla peste e patrona di Palermo, con l’estensione del suo culto a tutto il Regno. A quel punto, la devozione vittoriese per San Giovanni si scontrò con il culto “politico” di Santa Rosalia, del resto accolto freddamente nella nostra città, in cui il battesimo di bambine col nome Rosalia è assai raro e non anteriore al 1631. Trattandosi di un culto imposto dal governo vicereale, l’Università di Vittoria stanziò nel 1638 nel suo bilancio (oltre alle onze 6 alla Chiesa Madre per le feste di Natale, Sepulcro e del SS.mo Sacramento), onze 4 per «Santa Rosalia panormitana e sua santa reliquia». Pare però che sia davvero esistita la disputa sulla preminenza tra San Giovanni e Santa Rosalia. La Barbera riporta un documento del 1663 in cui San Giovanni è definito Patrono. Nell’atto invece da me sopra citato, del 1674, San Giovanni è definito Protettore. Nonostante la leggenda secondo la quale in occasione del terremoto la statua del Santo fu rinvenuta priva della testa, segno interpretato come se San Giovanni avesse voluto dare a Dio il suo capo in cambio della salvezza di Vittoria, nel 1714 l’Università, nello stanziare onze 10 per la festività del Santo, lo chiamava ancora Protettore e non Patrono, col solito stanziamento di onze 4 per la festa di Santa Rosalia, indicata come Patrona però in un documento del 1727 (La Barbera). Ancora nel 1733, racconta La China, don Enrico Ricca in un documento inviato al vescovo per preparare la consacrazione della nuova chiesa, scrisse che la patrona della città era Santa Rosalia. La China fa intendere che la cosa non sarebbe piaciuta al vescovo, perché nel dare quel titolo non si sarebbe ottemperato alle prescrizioni di Urbano VIII sulla proclamazione dei Patroni. Fatto sta che con la consacrazione della nuova chiesa, avvenuta il 16 maggio 1734, si sancì definitivamente la prevalenza di San Giovanni, a livello popolare, mentre ancora nel 1748, in un documento ufficiale come il bilancio di quell’anno, si stanziavano onze 4 «per la festa di S. Rosalia Patrona» ed onze 10.12 «per la festa di S. Gio. Battista Protettore». A mio avviso, San Giovanni non perdette mai il primato presso il popolo, anche se la politica era costretta a considerarlo Protettore e non Patrono. Però, dopo il 1748, San Giovanni affermò anche nella politica il suo primato, come è dimostrato dalle deliberazioni del Consiglio Civico dal 1787 in poi, in cui è definito Patrono e basta, mentre Santa Rosalia ha solo il suo altare nella nuova chiesa[20]. Tale prevalenza è attestata nell’opera del sacerdote Giovanni Palumbo in cui si esalta la figura di San Giovanni, opera alla quale collaborò l’arciprete don Enrico Ricca al quale si debbono anche varie leggende sul culto di San Giovanni (il ruolo di San Giovanni nella salvezza della città nel terremoto del 1693 e varie note sulla guarigione di bambini durante la processione di San Giovanni). |
NOTE:
4] Giuseppe La Barbera, Del culto e della reliquia di S. Giovanni Battista, Ediprint 1991.
5] Secondo Paternò «la superficie occupata da quel primo edifizio è quella stessa del piano della Trinità, dove ancora giacciono le vestigia delle sepolture».
6]Federico La China 1890, pag. 152: «…una Chiesa Madre, e di larghe dimensioni per giunta; come si vede dalla superficie rimasta vuota dopo il tremuoto del 1693, e che ora appelliamo il Piano della Trinità, ossia Piazza dell’Unità».
7] Il 13 ottobre 1607 fu pagato un tabernacolo di legname di noce con la stoffa (terzanello) per foderarlo ed una croce di legno; il 1° settembre 1609, il secreto Paolo Custureri ricevette in dono per la chiesa dal contatore don Andrea Valseca, una custodia d’argento con «suo pedi e coverchio…per conservarseli il SS.mo Sacramento»; il 18 ottobre 1609 fu pagato mezzo cantaro di olio d’oliva a Cola Lucifora trappitaro di Chiaramonte, come offerta annua della Corte del Patrimonio (Raniolo 1990, pag. 78).
8] Mezzo cantaro equivale a kg 40 circa.
9] Donazione di Antonio Buccheri di Ragusa di onze 2 per messe (Raniolo, pag. 78)
10]A quest’altare doveva appartenere il quadro oggi nell’altare del SS.mo Sacramento o Sacro Cuore all’interno della Basilica.
11] Donazione di tarì 6 (not. Giuseppe Mandarà 1608-1624).
12] Donazione di tarì 21 (not. Giuseppe Mandarà 1608-1624).
13] Probabilmente quello oggi nella Chiesa Madre.
14]Se ne parla nell’atto notarile del 31 agosto 1674, relativo all’acquisto da parte della Chiesa di due magazzini, la cui rendita doveva appunto essere utilizzata per indorare detto organo. I magazzini sono quelli in cui già nel 1814 risulta in funzione il primo teatro (Monello 1998).
15] Detto «l’apostolo di Sicilia», nacque a Licata nel 1591 e morì a Palermo nel 1656 (Mongitore).
16] Paolo Monello, Riveli del 1682.
17] In verità il nome esatto è Silvestro.
18] A questo proposito cfr. Paolo Monello, Vittoria ed il terremoto del 1693, Utopia Edizioni 1994
19] In verità fu un ordine del viceré Uzeda che, in occasione del primo anniversario della catastrofe, per tentare di arginare la diffusione di irrazionali timori di una replica, ordinò che ogni città l’11 gennaio 1694 portasse in processione il suo santo patrono, al fine di scongiurare il ritorno del terremoto (cfr. Paolo Monello, Il terremoto del 1693. Ira di Dio, paura e scienza...Paolino Editore 1995
20] Deliberazioni del Consiglio Civico (1787-1814), Archivio di Stato di Ragusa