giovedì, Novembre 21Città di Vittoria
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c) La Chiesa di San Vito

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La chiesa di San Vito: un vero e proprio scrigno perduto di opere d’arte.

Su San Vito, oggi purtroppo non più esistente, scrive La Barbera1:

«Nel 1634 la chiesa di San Vito non era ancora interamente completata, come risulta da un testamento di quell’anno (che è peraltro il più antico documento che la riguardi), e ciò trova conferma anche nelle sacre visite dei vescovi di Siracusa di quel periodo, come quella del novembre 1620, quando monsignor Paolo Faraoni (1619-1629) si recò a Vittoria e nella relazione della sua visita non fa alcun cenno alla chiesa di San Vito, mentre sono menzionate la chiesa madre e quella di Santa Maria delle Grazie…Nemmeno nelle successive visite del 1623 e del 1628 viene nominata, mentre doveva in qualche modo esistere, visto che il 4 aprile del 1623 vi fu sepolto un bambino di nome Pietro, figlio di un certo Mario Salerno». La facciata recava la data del 1662, come anno del completamento dell’edificio…». Continua l’autore: «All’interno della chiesa si costituirono, come nelle altre chiese, alcune congregazioni. La più antica di cui si ha testimonianza è quella detta di Cento Messe, fondata nel 1639…»2. «Un’altra congregazione…è quella sotto titolo di Maria Vergine del SS. Rosario fondata il 20 maggio 1644 dal gesuita padre Luigi Lanuzza…Questa congregazione prescriveva la celebrazione della festa del SS. Rosario nella prima domenica di ottobre, festa che fu istituita da Pio V per ringraziamento della vittoria di Lepanto, con l’esposizione del SS. Sacramento».

La congregazione celebrava anche la festa dell’Assunzione il 15 agosto. L’ultima Congregazione è quella del SS.mo Cristo alla Colonna, fondata nel 1876. La costruzione fu sottoposta ad un profondo restauro nel 1807, a cura del sac. don Giombattista Leni, con la costruzione di otto finestroni in legno con vetrate, il rafforzamento dei pilastri, interventi nel coro e in alcune cappelle, mentre il pittore Salvatore Ventura rinnovò i quadroni del soffitto, gli altari, le tavole della Via Crucis e pitturò l’organo, mentre fu rifatto il telaio del quadro di San Vito. Nonostante tutto, però, la chiesa continuò a presentare problemi strutturali, tanto che nel 1883 ne fu proposta la vendita per costruire col ricavato un’altra chiesa (vedi oltre, nel paragrafo della chiesa del Sacro Cuore). Il progetto però non andò in porto, per l’opposizione dei fedeli. Sottoposta ad attenta perizia nel 1888 dall’ing. Salvatore Battaglia, fu chiusa al culto, e le funzioni vennero trasferite in gran parte nella Chiesa Madre e alla Grazia (la sola festa del SS.mo Cristo alla Colonna). Riaperta nel 1890, non sfuggì però al suo destino e fu demolita definitivamente nel 1957.

La chiesa occupava quasi tutta l’area dell’attuale edificio delle Suore e «aveva una facciata molto sobria ad unico ordine delimitato da lesene con capitelli corinzi e culminante con un timpano…». In effetti, da una foto dei primi del Novecento (Fondo Palmeri, pubblicata in Silloge Zarino, pag. 195), si vede chiaramente la facciata con il timpano ed il campanile costruito sul lato destro della chiesa). Addossato alla chiesa, l’edificio della sacrestia, che sorgeva lungo il vicolo. Meglio ancora la facciata della chiesa è inquadrata in una vecchia cartolina (pubblicata ne “Il tempo ritrovato”, 1985) in cui si vede chiaramente che il portale è sovrastato da un timpano spezzato, su cui si appoggia una nicchia con dentro una statua in pietra e al di sopra si apre una finestra anche ornata di un timpano spezzato. Il campanile doveva essere a quattro fornici. «L’interno, ad unica navata…ospitava dieci altari e tredici sepolture. Questi altari rimasero invariati nel corso dei secoli, tranne alcuni come quelli di S. Biagio [prima del 1683], di San Leonardo [prima del 1683] e di San Gregorio… ma successivamente furono diversamente dedicati. In quel secolo erano già presenti fra i beni della chiesa la statua di Santa Lucia, che fu osservata e lodata dal vescovo di Siracusa nel 1651, e un quadro dell’Angelo Custode»3.

Dall’inventario fatto nel 1834 (in cui però non è compreso l’altare dell’Angelo Custode, forse per dimenticanza) e dall’incrocio di questi dati con le schede fatte da Giovanna Garretto Sidoti nel 1944, possiamo ricostruire l’interno della chiesa, che confinava con la via Menecolo (oggi Bixio), con via San Vito (oggi Calatafimi), con un vicolo laterale (vico San Vito, dove si affacciavano le case Ingallina e su cui dava la porta minore) e con l’attuale via Palestro. Nell’inventario del 1834, l’elenco degli altari è fatto partendo dall’altare maggiore a guardare verso la porta e contando gli altari a destra a partire da quello di Sant’Anna e poi a sinistra da quello di Portosalvo. Così facendo, entrando, a sinistra, si sarebbe incontrato per primo:

1.Altare di San Martino. In esso fu inventariato un:

  1. Crocifisso
  2. “Tosello”4 indorato con quattro colonnette
  3. un quadro del SS.mo Cristo alla Colonna;
  4. un ritratto della Morte.

All’ingresso si custodivano due vare, una di Santa Lucia e l’altra di Maria Santissima del Rosario. Nel «primo altare a sinistra», la Garretto vide un grande quadro da lei chiamato la Sacra Disputa (m. 2.47×3,10). E poi un’«altra tela caravaggesca…quella di San Martino», così descritta: «In alto, il solito motivo di angeli su un fondo di paesaggio buio; sotto, un cavallo che porta in sella San Martino. Questi è un cavaliere dall’aspetto fine e sta per tagliare con la spada un rosso mantello. Sul piano in cui sta il cavallo è un povero lebbroso che guarda meravigliato l’atto del Santo. La figura del cavaliere contrasta con quella fortemente naturalistica dell’uomo i cui cenci lasciano scoperte le piaghe. Un crudo chiaroscuro e un forte realismo pervade tutta la composizione».

Nell’elenco delle feste del parroco Ventura (1799-1827) è riportata la celebrazione della festa di San Martino, l’11 novembre, a San Vito; la data dell’11 novembre, con quella di Resurrezione è già annotata nei riveli del 1623 come scadenza per alcuni pagamenti, segno della sua importanza sin dall’inizio. Seguiva poi:

2. Altare di sant’Eligio, detto Sant’Aloe. Nell’altare erano:

  1. un Crocefisso
  2. un quadro raffigurante il Paradiso.

Per Ventura la festa del Santo si celebrava la prima domenica d’agosto, con elemosine dei bordonari, ma in seguito nel calendario liturgico la festa fu spostata al 1° dicembre, come ci testimonia appunto La China, che ricorda l’antica corsa degli asini che si svolgeva per Sant’Eligio lungo la trazzera di San Giuseppe Lo Sperso, ai suoi tempi abolita. 

3. Altare delle Anime Purganti. In esso furono inventariati:

  1. un Crocifisso grande
  2. un quadro rappresentante la Natività del Messia (secondo la Garretto Sidoti, rifatto da mano diversa da quella dell’autore). Seguendo il prof. Enzo Maganuco, l’autrice attribuisce al pittore Gaspare Vazano un quadro detto «San Luigi benedicente…m. 2.14×2.70, terzo altare a sinistra…», di cui non c’è traccia alcuna, a meno che non sia stato indicato un altare sbagliato.

A questo altare, per il soggetto, dovrebbe riferirsi un quadro così descritto dalla Garretto: «nel quinto altare a sinistra…una tela che attribuiamo a Pietro d’Asaro5 che rappresenta “il sacrificio della Santa Messa”. La tendenza ritrattistica che toglie spiritualità al sacro soggetto, la moltitudine di angeli, santi e figure terreno sono i caratteri che danno la paternità di questa tela al “Monocolo di Recalmuto”. In basso c’è un altare, davanti al quale sta il sacerdote, nel mistico atto di comunicare un cavaliere che gli sta dinanzi. Dietro, alcune persone attendono il turno della comunione. In un piano più alto, di lato e dietro l’altare sono molti angeli, alcuni con le braccia tese accolgono le anime nel Purgatorio che si intravedono tra le fiamme pure nel fondo del quadro, altri additano ad esse la maestosa figura dello Spirito Santo, del Figliuolo Divino e della Madre Santissima, i quali dall’alto in una luce splendente, assistono al sacrificio propiziatorio»6.

4. Altare dell’Angelo Custode. Pur assai antico, l’altare non risulta catalogato nel 1834, mentre la Garretto Sidoti nel 1944 riferisce di «un quadro dell’Angelo Custode…nel quarto altare a sinistra…», quadro di m. 2,14×2.70, attribuibile, secondo Maganuco, al pittore Pietro d’Asaro, per alcuni particolari stilistici ereditati dal Caravaggio, come «l’acutezza delle ali degli angeli, la tendenza veristica dei personaggi, l’artificiosità della pennellata, l’aridità dei panneggi…caratteristiche che unite ad un vigoroso cromatismo si ritrovano nel “Martirio di Santa Lucia”». Seguiva ancora:

5. L’altare o cappella di Sant’Anna. In cui si custodivano:

  1. una statua del SS.mo Cristo alla Colonna (oggi nell’omonimo altare a San Giovanni);
  2. statua di Sant’Anna;
  3. un Crocefisso
  4. un quadro dell’Addolorata

Nella cappella si apriva la sepoltura di don Salvatore Guastella ed eredi. Accanto, la sepoltura appartenente al sacerdote Salvatore Riggio, a don Paolo Riggio e ai loro eredi. La festa di Sant’Anna veniva celebrata il 26 luglio. Il culto era molto popolare e Sant’Anna è presente nella poesia popolare vittoriese (cfr. Consolino).

L’altare maggiore (ancora non costruito nel 1634) era dedicato a Maria SS.ma del Rosario, culto forse diffusosi dopo la visita di Aloisio Lanuza a Vittoria e la fondazione della relativa Congregazione il 20 maggio 1644. La Congregazione aveva il compito di celebrare la festa del Rosario la prima domenica d’ottobre (attestata prima del 1681), oltre alla festa dell’Assunzione il 15 agosto. L’altare era sopraelevato rispetto al piano della chiesa, «con cinque scaloni di legno» ed era riccamente addobbato. Il coro aveva due stalli per il clero, due sedie ed altri ornamenti, fra cui otto candelieri in legno, di cui due grandi indorati e sei piccoli argentati. Il tabernacolo era ornato da un Crocefisso e da un velo bianco. Probabilmente nella nicchia sopra il tabernacolo era posta una statua della Madonna con il Bambino Gesù in braccio, detta del Rosario.

A sinistra (nel corno del Vangelo) era collocato un quadro della Madonna assunta al Cielo; a destra (nel corno dell’Epistola) un altro quadro che rappresentava la Morte di San Giuseppe.

Probabilmente davanti alla gradinata si trovava la sepoltura dei confrati della congregazione del SS. Rosario. Non sarebbe strano che per sostituire il vecchio quadro della Morte della Vergine, ne fosse stato commissionato uno nuovo di analogo soggetto a Giuseppe Mazzone nel 1874…Proseguendo, a sinistra dell’altare maggiore, avremmo incontrato:

6. Altare dedicato a Maria SS.ma di Portosalvo con:

  1. un Crocefisso;
  2. un ”Tosello con due angeli a lato”;
  3. un quadro dell’Ultima Cena;
  4. Stella Maris («quinto altare a destra, m. 1.85×2, ad olio», Garretto Sidoti): dovrebbe trattarsi della Madonna di Portosalvo. Al quale altare seguiva:

7. Altare di Santa Lucia con:

  1. Crocefisso
  2. quadro dei Re Magi.

La statua della Santa, già lodata nel 1651 (La Barbera) era custodita nella sacrestia e portata in processione il 13 dicembre prima del 1681, segno di una antica tradizione, accompagnata dalla grande vampanigghia che si consumava nella piazza antistante, a ricordo del suo martirio (La China però aggiunge che a causa della grandezza del rogo, per evitare pericoli d’incendio, si cessò di fare la grande vampanigghia. Però fino alla metà del Novecento, in molti quariteri popolari, il 13 dicembre, le fascine delle vampanigghie rischiaravano la sera del giorno ritenuto il più breve dell’anno…). In occasione della chiusura della chiesa per il restauro del 1888, la statua di Santa Lucia trovò ospitalità nella chiesa madre, nell’altare di San Giacomo. Seguiva poi:

8. Altare di Maria SS.ma della Catena con:

  1. statua coperta da un quadro (con lo stesso soggetto?)
  2. quadro della visita di Maria SS.ma a Sant’Elisabetta;
  3. Crocefisso;
  4. una cassetta con la Sacra Famiglia. Il culto di Maria SS.ma della Catena era molto sentito e la festa si celebrava nella terza domenica d’agosto.

9. Altare di Maria SS.ma Addolorata con:

  1. statua della Pietà (Madonna con Cristo Morto sulle ginocchia);
  2. Crocefisso. 

10. Altare di San Vito (il primo quindi a destra) con;

  1. quadro di San Vito (la cui cornice fu rifatta nel 1807 da mastro Filippo Cicerone, cfr. La Barbera)
  2. Crocefisso.

Una statua di San Vito era custodita nella sacrestia.

La chiesa aveva, tra le altre cose, 14 quadretti della Via Crucis, risalenti al 1779). nella chiesa era anche l’Oratorio dei confrati di Maria Santissima del Rosario. Oltre ad un gran numero di arredi sacri, nella sagrestia erano custodite oltre alle statue di Santa Lucia (di cui si conservavano anche 7 paia di occhi d’ergento) e di San Vito, anche quelle di San Lorenzo (di cui non esisteva un altare specifico ma la cui festa il 10 agosto è segnata nell’elenco del parroco Ventura) e del SS.mo Cristo Risuscitato. Nel campanile erano collocate tre campane di diversa grandezza. Una delle quali, fusa nel 1665, fratta nel 1752, nel 1865 e nel 1917 fu rifusa nel 1921 e oggi è collocata a San Giovanni Bosco. La chiesa possedeva inoltre un grande organo e diciassette “ninfe”, cioè grandi lampadari.

Tre erano le vare in legno: quella usata per la festa di Maria SS.ma del Rosario, quella di Santa Lucia e la terza per il SS.mo Cristo alla Colonna (costruita da Giuseppe Giuliani di Palazzolo Acreide nel 1876). nell’inventario del 1834 furono registrate anche alcune reliquie: della Croce di Gesù Cristo, di San Giuseppe, di San Giacinto, di Sant’Anna, di Santa Lucia, di San Rocco e di San Liborio, donate alla chiesa dai sac. don Giovanni Tribastone di Biscari e don Giovanni Catalano di Vittoria, che a loro volta le avevano ricevute nel 1720 da Catania (La Barbera). Ma non abbiamo ancora finito. Nella chiesa esistevano altre opere d’arte, fra cui:

  1. il quadro del SS.mo Cristo alla Colonna (portato nel 1878 dalla chiesa demolita al Calvario), del pittore Salvatore Ventura del 1819 (oggi nella Biblioteca di San Giovanni)
  2. La Natività o Presentazione al Tempio (a firma S. Felice? è lo stesso di cui parla la Garretto Sidoti?)
  3. grande quadro della Madonna del Rosario, con San Domenico e Santa Caterina7 (poi donato alla nuova chiesa del Rosario e oggi sistemato al primo piano nel matroneo)
  4. Immacolata di Mazzone (1,17×2,90) oggi al Museo Diocesano, fatto per devozione del rev. sac. Salvatore Amodei nel 1869
  5. Transito di Maria del 1874 (anch’esso al Museo Diocesano);

La Garretto Sidoti riferisce infine di tre quadri, di cui non c’è traccia, a meno che non fossero dipinti nel soffitto, visto che l’autrice accenna al fatto che un «altro esempio di decorazione settecentesca sono i motivi architettonici con fiori frutta volute e festoni di impressione folkloristica che fanno da cornice a tre dipinti i cui soggetti sono “La Natività della Vergine”, “La Natività del Messia” (rifatto da altro pittore), “La Pentecoste” (rifatto da altro pittore). Solo la “Natività della Vergine” ha qualche pregio e rivela la paternità. Sia per la tecnica compositiva che per i colori, essa appartiene a un discepolo del Paladino e cioè al pittore siciliano Giuseppe Salerno che lasciò opere pregevolissime a Gangi e a Palermo». Se è così, andarono distrutti nella demolizione della chiesa.

Box. Benefattori della chiesa di San Vito dal 1623 al 1748.

Rispetto a ciò che dice La Barbera e a quello che abbiamo dedotto (seppure con qualche difficoltà dalla Garretto Sidoti), possiamo aggiungere altre notizie su San Vito, dedotte dall’enorme massa di documenti in mio possesso e dall’analisi dei registri parrocchiali, che anticipano la prima sepoltura annotata a San Vito al 1° settembre 1622, quando vi fu sepolto il figlio di m.ro Gilormo di Naro.
Grande doveva essere la devozione verso San Vito, se già nel rivelo del 1623 compaiono ben 8 donazioni (in genere in denaro, da pagare su case, terre e vigne dei donatori).
Nel 1638 la chiesa, oltre alle rendite in denaro, possedeva anche un giardino nella contrada Cammarana, (probabilmente è quello detto anche “delle messe dell’Alba”). Numerose altre donazioni la chiesa ed i suoi altari ricevettero dal 1653 al 1748. In particolare ricevettero rendite su terre, case e vigne (ma non mancarono acquisti di case da parte dei procuratori). Nel 1748 i procuratori pro tempore della chiesa dichiararono beni del valore di onze 110 (6 case, 2 salme di terra, di cui una salma in contrada Scalonazzo, a confine con terre di San Francesco di Paola, donata da Filippo Parrino, poi nota come terre del Rosario).
Tra le spese, la chiesa pagava onza 1 ad un organista. La Congregazione del SS.mo Rosario dichiarava invece entrate per onze 18, ma uscite per onze 60. Le donazioni riguardarono anche alcuni altari. Nei documenti c’è traccia degli altari:

  1. delle Anime del Purgatorio (Diana Brullo nel 1669; Antonio Ciciulla 1672; sac. don Gio. Batta Mandarà nel 1725): altare che pertanto si conferma come uno dei più antichi;
  2. della Madonna del SS. Rosario, che riceve il maggior numero di lasciti, il primo dei quali è quello di Filippo Parrino, che nel 1673 e nel 1678 donò terre dette in seguito appunto le terre del Rosario8. Don Gio. Batta Toro, Santa Delfo ved. Lucchese e sor Teresa Toro fondarono messe nel 1747, mentre anche la Congregazione quell’anno risulta destinataria di un legato;
  3. dell’Angelo Custode, davanti al quale il sac. don Ignazio Ciancio fondò una messa quotidiana nel 1732, rinforzata nel 1744 da un censo sul quarto mulino, pagato da don Cristoforo Garì al Ciancio;
  4. di Sant’Anna, davanti al quale fonda messe Giuseppa Judici ved. di don Simone Toro nel 1723 e nel 1738, il sac. don Francesco Migliorisi nel 1733, mentre Orazia de Pascale nel 1733 e don Gabriele Migliorisi nel 1746 lasciano terre e denari;
  5. di Santa Maria di Portosalvo. davanti al quale fondò una messa settimanale suor Maria Sapienza La Rosa nel 1743.

 

 

 

NOTE

1] Giuseppe La Barbera, L’antica chiesa di San Vito, Società Siracusana di Storia patria, EdiPrint 1989.
2]«Quest’opera…aveva lo scopo di far celebrare cento messe, da sacerdoti nativi o divenuti sacerdoti di Vittoria, per l’anima del fratello defunto. Inoltre, nel giorno della commemorazione dei defunti l’opera celebrava la festa addobbando la chiesa di panni scuri con animette dipinte, con candelieri, cantando una messa da requiem ed esponendo il SS. Sacramento. Dopo la messa si faceva una solenne processione dentro e fuori il cimitero di detta chiesa alla quale partecipavano tutti i confrati dicendo le orazioni…Le funzioni religiose di questa congregazione si svolgevano all’Altare delle Anime Sante del Purgatorio che era, tra l’altro, ben arredato con un tabernacolo di legno […]» (La Barbera).
3] Le sepolture sono state studiate da Gaetano Bruno, Studi d’archivio, 2017.
4] Dallo spagnolo dosel, baldacchino, utilizzato nelle processioni.
5] Il Manierismo fu portato in Sicilia da vari pittori, fra cui Vincenzo de Pavia, Polidoro da Caravaggio (1500-1543) e Girolamo Alibrandi (1470-1524). Epigoni di De Pavia furono Filippo Paladino (1544-1614), Gaspare Vazano (1562-1630) detto “lo Zoppo di Gangi”, Pietro d’Asaro (1579-1647) detto “Monocolo di Recalmuto” e Giuseppe Salerno (1588-1630).
6] Un quadro di analogo soggetto si trova alla Grazia, nell’altare omonimo.
7] Scrive La Barbera: «…rappresentata nella classica composizione piramidale con Gesù Bambino quasi nudo sulla gamba destra che consegna con la mano sinistra una coroncina a San Domenico, mentre la Madonna, su una nuvola e col volto reclinato verso sinistra, porge una coroncina a Santa Caterina. A coronamento della scena stanno due angeli su altrettante nuvole che sembrano trattenere delle scene sacre in una serie di cerchi e altri due sorreggono una corona con dipinte sempre in una serie di cerchi altre scene sacre. Sopra sta lo Spirito Santo in forma di una colomba bianca».
8] Altri lasciti: Civello nel 1714, Nieli nel 1716, La Rosa nel 1718; Gregorio Scaletta nel 1718; don Francesco Pellegrino nel 1721, don Antonino Migliorisi nel 1728, Giuseppe Vasile nel 1730, Stefano Mgiliorisi nel 1731, Filippo Baglieri, Lorenzo Gulino Marangio-Piluso nel 1732; Francesco Gerratana e Antonino Migliorisi nel 1734, Paolo Ruggiato, Blasio Ridolfo e Natale Giacchi nel 1745.

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