LE STAGIONI DELL’ACQUA DI LAURA BOSIO, LONGANESI, PAGG. 266,
DI GIULIA BORGESE
ROMANZO TRA LE RISAIE
Una vecchia signora, Bianca, regna su un’antica cascina del vercellese – in quel singolare “mondo capovolto” che si riflette nelle risaie – e invita la sua ex nuora a passare una settimana con lei. Il fattore, i contadini, una splendida figura di suora “svestita”, che cioè ha abbandonato il convento, gli animali – da leone impagliato che sta in salotto, al pavone, al grillotalpa, i cibi e il lavoro, gli amori e perfino un oscuro delitto: tutto si muove e pulsa intorno a Bianca, che tutto sa e tutto dirige. Soprattutto il riso: che ha un’affascinante storia a sé, e certo “non è un’attività agricola come le altre”. Molto coinvolgente.
GLI ECHI DI UNA RISAIA – DI BENEDETTA MARIETTI
Una terra d’acqua: distesa di campi allagati, cascinali, abbazie, piante, fiori, erbe, a pochi chilometri dalle grandi città del Nord. È in una tenuta fra le risaie del Vercellese che Laura Bosio (tra i pochi narratori italiani veramente “necessari”) ambienta il suo quarto romanzo dopo I dimenticati, Annunciazione, Le ali ai piedi. Una campagna ancora poco conosciuta dove la protagonista-narratrice, una donna sui quarant’anni colta in un momento di svolta della propria vita, incontra, oltre all’anziana proprietaria della tenuta, storie e personaggi che sembrano emergere da un passato immutabile: “ex suore, smemorati, bislacchi e visionari”. Un mondo che per certi versi ricorda le atmosfere di Centochiodi di Ermanno Olmi, dove riti e tradizioni si mescolano con la modernità. E dove si può trovare anche l’amore. Lei è nata a Vercelli. Viene da lì la sua passione per il riso, coprotagonista del romanzo? A Vercelli il riso rappresenta la ricchezza. Quando ero piccola i miei non andavano in campagna, quindi mi era rimasta la curiosità di capire meglio un mondo che era sempre rimasto sullo sfondo. Per un anno e mezzo, nei fine settimana, sono andata a parlare con proprietari di cascine, ex mondine, contadini del Vercellese e ho letto molti libri tecnici e storici. L’idea era di scrivere un libro orizzontale come le risaie. Passato e natura sono un tutt’uno con le vite dei suoi personaggi. Il mondo delle risaie, pur essendo vicinissimo alle città, ha una propria cultura e civiltà. Il sapere accumulatosi nei secoli continua a essere presente come una memoria lontana. Perfino i modi e i linguaggi sono mutuati dalla coltivazione del riso, anche se oggi tutto è meccanicizzato e le mondine non esistono più. Molte mondine “hanno tolto i piedi dall’acqua per andare a metterli sotto casse di supermercati, banconi di call center e scrivanie di uffici”. Ne valeva la pena? Non credo: la monotonia la si incontra di più negli uffici, la vita di campagna è dura ma caotica, più libera e divertente. Molte ex mondine mi hanno raccontato come il loro lavoro significasse anche svincolarsi dalle famiglie. Erano giorni eccitanti, di giochi e di scoperta. Non voglio mitizzare la fatica della terra, ma le persone con cui ho parlato raccontano alla fine da un osservatorio più periferico qualcosa di ciò che siamo diventati. Per la prima volta scrive di un amore passionale. La campagna è un luogo di passioni forti. E anche di delitti (uno compare nel romanzo). I miei personaggi si dedicano con una passione rude, quasi brutale, a quello che fanno. E la narratrice ne rimane contagiata, arrivando a trovare in un nuovo amore un senso che le si confà.