di: Claudio Bottan
“Come vi siete conosciuti tu e Federico?”
“L’ho conosciuto in galera”.
Basta questa premessa per ribaltare i ruoli e far sì che gli sguardi vadano a frugare cercando i dettagli, i segni evidenti che confermano senza ombra di dubbio che il delinquente è lui. Punto.
Basta guardarlo e si capisce a colpo d’occhio che il galeotto è lui, quel Federico Corona con i tatuaggi malamente camuffati sotto la camicia, che nonostante tenti di darsi una parvenza di credibilità è un avanzo di galera, nel senso che per la galera ci è transitato, seppur da direttore del giornale scritto dai detenuti, quelli veri. Dettagli.
Era la nostra prima volta insieme dopo l’esperienza del carcere e Federico si è fidato, mi ha seguito camminando sul cornicione – senza guardare in basso, come mi ero raccomandato – e ci siamo ritrovati a Vittoria, in provincia di Ragusa, all’Istituto comprensivo Portella della Ginestra. Non in un giorno qualsiasi, non poteva essere.
“Seguimi e non preoccuparti, gli avevo detto, andiamo a braccio”.
Davanti a noi una platea di ragazzi ha preso posto, in ordinata confusione, sotto l’occhio vigile delle docenti che lasciavano trasparire molta più ansia dei loro studenti.
“L’ho conosciuto in galera”.
Basta questa premessa per ribaltare i ruoli e far sì che gli sguardi vadano a frugare cercando i dettagli, i segni evidenti che confermano senza ombra di dubbio che il delinquente è lui. Punto.
Basta guardarlo e si capisce a colpo d’occhio che il galeotto è lui, quel Federico Corona con i tatuaggi malamente camuffati sotto la camicia, che nonostante tenti di darsi una parvenza di credibilità è un avanzo di galera, nel senso che per la galera ci è transitato, seppur da direttore del giornale scritto dai detenuti, quelli veri. Dettagli.
Era la nostra prima volta insieme dopo l’esperienza del carcere e Federico si è fidato, mi ha seguito camminando sul cornicione – senza guardare in basso, come mi ero raccomandato – e ci siamo ritrovati a Vittoria, in provincia di Ragusa, all’Istituto comprensivo Portella della Ginestra. Non in un giorno qualsiasi, non poteva essere.
“Seguimi e non preoccuparti, gli avevo detto, andiamo a braccio”.
Davanti a noi una platea di ragazzi ha preso posto, in ordinata confusione, sotto l’occhio vigile delle docenti che lasciavano trasparire molta più ansia dei loro studenti.